Omelia (06-03-2014)
Paolo Curtaz


Restate tranquilli: il Signore non ci chiede di cercare la sofferenza o di accoglierla senza combattere, il prendere la croce ha poco a che vedere con l'atteggiamento autolesionista con cui, troppo spesso, abbiamo accolto questa parola così intensa e liberante. La ragione la dice lui stesso: siamo chiamati ad andare fino in fondo, ad osare, a non mollare proprio perché lui, il Signore, il Maestro, il Rabbì, è andato fino in fondo senza tentennamenti. Gesù non ha amato la croce, né l'ha cercata e ne avrebbe volentieri fatto a meno. Ma, ad un certo punto, quella croce è stata l'unico strumento che ancora aveva per ridire senza ambiguità, senza tentennamenti, senza ombra di dubbio ciò che egli voleva dire. La croce è diventata, allora, l'unico modo per il Signore di manifestare l'amore per il Padre e per gli uomini. Quell'amore siamo chiamati ad imitare, quell'amore siamo chiamati a cercare e a donare anche se fa male, anche se non riusciamo, a costo di perdere la vita. Proprio perché la vita piena, la vita vera, la vita dell'Eterno vale la pena di essere vissuta fino in fondo.