Omelia (29-03-2014) |
Paolo Curtaz |
Di primo acchito il fariseo della parabola ci sta proprio antipatico, così come tendiamo a solidarizzare con il pubblicano. Ma, a ben leggere, le cose non stanno così: è un bel tipo il fariseo, uno sincero. Pregare con le mani alzate era la consuetudine e dimostra di essere veramente devoto. Digiuna due volte alla settimana quando la Legge prescrive un solo digiuno annuale; paga la decima anche sulle spezie ampliando l'obbligo rivolto ai contadini. Il pubblicano, invece, non sembra pentito, non si propone di cambiare, non restituisce quanto ha rubato, come prescritto dai rabbini. Perché, allora, Gesù indica come modello il pubblicano? Non certo per il suo comportamento morale ma per la sua situazione interire: il fariseo ha riempito ogni spazio col suo ego e Dio non sa proprio come fare per incontrarlo! Il pubblicano, invece, è consapevole del proprio vuoto. Non è ancora in grado di affrontarlo, di cambiare, di porre dei gesti ma, almeno, sa che ciò che sta facendo lo ha solo riempito di vento. Stiamo attenti a non specchiarci nel nostro ego spirituale, confrontandoci con le persone meno credenti: dimoriamo nella verità con umiltà. |