Omelia (01-04-2014)
Paolo Curtaz


Non è il tempio di Gerusalemme, la piscina di Betesda. È solo una gigantesca vasca che raccoglie l'acqua necessaria alla purificazione delle pecore destinate al sacro macello. E il fenomeno delle acque che periodicamente si smuovono, ci spiegano i tecnici, era dovuto all'improvvisa immissione d'acqua corrente dal fondo della vasca, nulla di sconvolgente. Eppure, nonostante questo, il desiderio di guarigione aveva spinto centinaia di poveracci ad aspettare il fenomeno, gettandosi nella vasca e sperando di guarire. I sacerdoti del tempio guardavano con un certo fastidio a questa evidente forma di superstizione. Non così Gesù, sempre vicino all'uomo che soffre, anche quando manifesta in maniera approssimativa la sua fede. E, fra i poveri, sceglie il più povero, l'unico che, nella feroce lotta fra i disperati, non riesce a scendere nella piscina. E lo guarisce. Non senza il suo assenso e la sua collaborazione: il maestro gli chiede se vuole guarire. Dopo quasi quarant'anni di malattia e di mendicanza, guarire voleva dire stravolgere le proprie abitudini. E noi, vogliamo davvero guarire?