Omelia (30-05-2014) |
Paolo Curtaz |
Gesù sa che la sua fine è vicina, sa che lo aspetta un epilogo drammatico della sua missione. Ha raccolto le sue ultime forze con immensa lucidità per raccogliere accanto a sé i suoi ignari apostoli. Ma non basta. Potrebbe chiedere aiuto, invocare un sostegno, pretendere un po' di attenzione. Non lo fa. È grande, il Signore. Immenso. Il suo cuore è sconfinato. Anche nel momento più faticoso, più tenebroso, più combattuto, mette da parte la sua umanissima pena e la sua paura comprensibile e si preoccupa per i suoi discepoli. Sa che non sono pronti. Teme, a ragione, che crolleranno miseramente davanti allo scatenarsi dell'impero delle tenebre. E li incoraggia con la più semplice delle immagini: le doglie del parto. La sofferenza che stanno per vivere e che lui stesso vivrà, altro non è che il passaggio obbligato per dare alla luce qualcosa di nuovo. Ed è ancora così: se ci fidiamo del Signore, se a lui ci affidiamo, se diffidiamo della nostra presunzione, sperimentiamo che il dolore, eccetto quello che ci procuriamo da soli con i nostri giri di testa e che è totalmente sterile, è una tappa verso un nuovo orizzonte. |