Omelia (19-06-2014) |
Paolo Curtaz |
La preghiera non è fatta di molte parole o di tanti gesti. In tutte le esperienze religiose esiste un modo di rapportarsi a Dio, una ritualità che separa il quotidiano dal divino, il sacro dal profano. E in questa ritualità, spesso, abbondano le parole e le esteriorità. Così nella fede ebraica, così, diciamolo pure, nella fede cristiana. Gesù, invece, invita ad una preghiera diversa, intima, profonda, che coinvolga il fedele, sì, ma in relazione solo col suo Dio. Una preghiera fatta di molti silenzi, di poche parole, una preghiera che ci aiuti a raggiungere l'essenziale, la scoperta del volto misericordioso di un Dio che si rivela come un Padre che ci ama. La preghiera che il Signore ci consegna, le parole che egli reputa essenziali, che nascono da un contesto di silenzio e di intimità, l'unica preghiera dataci da Gesù (!) ci rivela il volto di un Dio che è un Padre a cui chiediamo sostegno e luce, concretezza e perdono. Interroghiamoci sul nostro modo di pregare, sul modo di pregare delle nostre comunità. Troppo spesso valorizziamo l'aspetto della comunicazione e dell'accoglienza scordandoci quello del silenzio e della profondità... |