Omelia (19-09-2014)
Paolo Curtaz


Un versetto appena, uscito dalla penna di Luca, che descrive un elemento della vita della prima comunità e che, se letto bene, dovrebbe farci saltare sulla sedia. Sì perché, nel gruppo dei discepoli, c'erano delle discepole. E non donne di servizio ma, fra di esse, anche persone di rango. E che non facevano le perpetue stirando le camicie degli apostoli, ma collaboravano attivamente all'opera di annuncio del Signore, usufruendo anche del proprio patrimonio economico personale. Sappiamo che, al tempo di Gesù, la donna nella civiltà ebraica era poco più di un'appendice del maschio, senza vera identità, senza diritti, in tutto soggetta alle decisioni del marito o del padre. Non poteva uscire da sola, né parlare in pubblico, né pregare insieme agli uomini. Una condizione di servilismo assoluto e di subalternità senza vie di scampo. Invece veniamo a sapere che Gesù aveva realizzato le pari opportunità e senza troppi problemi ma con tantissimo scandalo. Sono passati duemila anni e la novità e la freschezza di Gesù, quell'intuizione così innovativa, stenta ancora a realizzarsi nella Chiesa. E se lo facessimo, finalmente?