Omelia (12-01-2015)
Paolo Curtaz


Israele non è mai stato un popolo di navigatori, non scherziamo. Ha sempre temuto il mare, il luogo dove abitano i mostri, il Leviathan, fra gli altri: i giudei non hanno certo la perizia marinaresca dei fenici. Perciò il mare, nella Scrittura, indica il luogo sconosciuto, da temere. E segna i confini in un paese che ha una lunga porzione di territorio affacciata sul mare. Marco chiama il grande lago di Tiberiade mare di Galilea, probabilmente per ricordare tutti questi significati. E lungo il lago, sulla spiaggia, Gesù chiama i primi discepoli. Ha iniziato la sua predicazione dai confini di Israele, da quei luoghi guardati con disprezzo dai puristi di Gerusalemme. Ora sceglie i discepoli su un altro confine, quello che divide la terra dall'acqua, la certezza dall'insicurezza. Siamo discepoli di un Dio che abita le periferie, che si avventura sui confini, che preferisce il meticciato alla purezza di idee e di convinzioni. Torniamo ad abitare questi luoghi fisici e dell'anima, a raggiungere con la Parola le tante periferie delle nostre città e le persone che vi abitano. In questi tempi fluidi e incerti, il Signore ha bisogno di discepoli che, come lui, li abitino per evangelizzarli.