Omelia (18-02-2015)
Paolo Curtaz


È il momento di gettare le maschere. Quelle di Carnevale, ovviamente, ma anche quelle, molto più difficili da togliere, che indossiamo quotidianamente, per dimostrare di essere dei bravi genitori, dei buoni figli, dei bravi cittadini... Maschere che indossiamo per essere accolti, per piacere, per non sfigurare davanti al mondo così esigente, come un gigantesco tribunale che continuamente ci giudica. Inizia la quaresima, finalmente. Inizia con un digiuno che ci aiuterà a ricordarci di cosa è davvero essenziale nella nostra vita, riferendoci a quell'unico pane che ci sazia, a quell'unica acqua che ci disseta. Quaranta giorni in cui cercheremo, come ogni anno, di fare il punto della situazione, mettendo a fuoco le cose che vanno cambiate, il peccato che ci impedisce di vivere da risorti, la tristezza che ci frena nell'essere nuove creature. Un cammino impegnativo, certo che, però, ci è necessario per non vivere appiattiti, per non anestetizzarci davanti ad una quotidianità sempre ripetitiva, sempre meno avvincente, sempre più monotona. Inizia la quaresima con l'austero segno dell'imposizione delle ceneri, per ricordarci che siamo solo polvere. Ma polvere che Dio trasfigura in luce.