Omelia (14-03-2015)
Paolo Curtaz


Il fariseo della parabola di oggi non dice il falso quando si vanta davanti a Dio delle sue buone azioni. Davvero è un fedele devoto e si sforza con tutti i suoi mezzi di non trasgredire neppure uno iota della Legge. D'altronde il pubblicano che si ferma in fondo alla sinagoga è veramente uno che sbaglia. Troppo spesso i pubblicani, che avevano appaltato la riscossione delle tasse dall'Impero Romano, esercitavano questa funzione con prepotenza e violenza. Gesù non loda il pubblicano a scapito del fariseo, semplicemente constata che Dio non può entrare nel cuore del fariseo perché colmo del suo ego spirituale ipertrofico. Ed è un rischio che corriamo proprio noi discepoli che già abbiamo accolto il messaggio del Signore Gesù. Il rischio, cioè, di essere talmente concentrati sulla nostra immagine spirituale da non sentire più l'abisso del nostro cuore che anela ad essere colmato dalla presenza di Dio. Corriamo il rischio di diventare dei professionisti del Sacro, degli abitudinari della fede invece di lasciare spazio allo stupore. E lo stupore nasce sempre da un'assenza, da un bisogno, dalla consapevolezza che siamo mendicanti. Cosa che ben capisce il pubblicano.