Omelia (13-10-2015)
Paolo Curtaz


Bella faccia, il fariseo. Invita Gesù a pranzo, gesto tutt'altro che scontato, che denota un grande coraggio visto la pessima fama che circonda il Nazareno. Ma, appena si mette a tavola, lo critica per non avere fatto le abluzioni rituali prima del pasto. Bella faccia, davvero, di chi invita non per accogliere, ma per mettere alla prova e giudicare. E Gesù non si lascia certo intimorire e reagisce con una durezza inattesa, un servizio alla verità che colpisce dritto nello stomaco. È inutile rispettare le tante prescrizioni della Legge se, alla fine, il cuore non si converte. Inutile mondare e purificare i piatti se l'anima è intorbidita e giudicante. Gesù, così facendo, ribalta la concezione di una religiosità basata sul ritualismo sterile che non manifesta, come dovrebbe, un atteggiamento profondo. E chiede a lui e a noi di metterci davvero in gioco, di dare in elemosina non il superfluo ma, addirittura, ciò che abbiamo dentro. Di donare ciò che siamo. La fede, allora, non diventa sterile osservanza di precetti ma cammino verso un'autenticità di noi stessi che si fa dono. Diamo in elemosina ciò che siamo, oggi,