Omelia (25-12-2002) |
padre Raniero Cantalamessa |
Andiamo a Betlemme La parola di Dio ci ha condotti durante l'Avvento a scoprire chi è " colui che doveva venire ": è Gesù Cristo, il Figlio di Dio (Il domenica); è il Salvatore (III domenica), colui che nell'Incarnazione è diventato il "Dio con noi " (IV domenica). Il mistero del Natale è già stato spiegato alla nostra mente. Oggi, nel giorno luminoso della festa, non dobbiamo indugiare sulle spiegazioni, ma solo abbandonarci a una contemplazione gioiosa e riconoscente del mistero del Dio fatto uomo. A ciò ci esorta la liturgia con le letture di questa messa. Esse sono più corte e più semplici del solito, quasi per dire che il mistero è troppo grande per poterlo racchiudere in parole. La parola sembra quasi spegnersi di fronte all'evento: Oggi è nato per noi il Signore (Ant. ingresso). Isaia grida: Dite alla figlia di Sion: ecco, il tuo Salvatore è qui!; noi diciamo: dite alla Chiesa e a tutto il mondo: Ecco, il tuo Salvatore è qui! Colui che aspettavi è venuto; non c'è da attendere un altro; egli reca con sé la mercede che è la vita nuova, la luce, la pace, lui stesso. Che cosa ha portato di nuovo il Signore venendo nel mondo?, si sentivano domandare i primi cristiani e rispondevano: " Ha portato tutta la novità portando se stesso "(sant'Ireneo). Lui stesso è la grande novità del mondo. Paolo, nella seconda lettura, ci insegna a guardare al Natale come all'inizio di un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo. Inizia un'era nuova per il mondo; anche il tempo si rinnova e comincia a essere contato da questa data; non più dalla fondazione di Roma, ma dalla nascita di Cristo. Il capostipite di questa umanità nuova è Gesù stesso, il nuovo Adamo, il primogenito tra molti fratelli (Rom. 8, 29). Grazie alla sua parola e al suo Spirito che ci hanno purificato, anche noi possiamo essere ormai uomini nuovi rigenerati per una speranza viva (1 Pt. 1, 3>, come bambini appena nati che hanno intatte davanti a sé tutte le possibilità per fare della propria vita qualcosa di grande e di bello. Il nostro primo incontro col Natale nella liturgia deve dunque aprirsi alla gioia: " Non c'è spazio per la tristezza - scrive san Leone Magno - nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e porta la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti. Esulti il santo, perché si avvicina il premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita Il brano evangelico ci mette davanti due modi di accogliere il Natale: quello dei pastori e quello di Maria. Maria ha creduto (Lc. 1, 45), vive già nella dimensione della fede; ella perciò accoglie in cuor suo le parole, si addentra in profondità nelle cose di Dio ed è disponibile all'adorazione. In ogni quadro del Natale e in ogni presepio, Maria sta sempre in adorazione davanti al bambino. I pastori servono invece all'evangelista Luca per tracciare l'itinerario verso la fede. Essi hanno udito l'annuncio e rispondono con la decisione: Andiamo a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto Conoscere. La decisione interiore si traduce subito in gesti concreti di vita (Andarono senza indugio) e questi portano alla scoperta: Trovarono il bambino. Trovarono, non solo materialmente, ma spiritualmente; con gli occhi della mente, oltre che con gli occhi del corpo: insomma, credettero. Compresero, o almeno intuirono, chi era quel bambino, e dalla scoperta nacque l'impulso irresistibile alla testimonianza: Dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Così la fede comincia a propagarsi; da credenti nascono credenti: Tutti quelli che udirono si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Chissà con quale entusiasmo seppero parlare della loro scoperta! In questo esemplare itinerario di fede c'è un punto che dobbiamo sottolineare con forza e fare nostro in questo giorno: la decisione di andare a Betlemme: Andiamo a Betlemme, si dissero l'un l'altro i pastori. E anche noi, in questo Natale, ci diciamo l'un l'altro: andiamo - o meglio, torniamo - a Betlemme! Torniamo alla semplicità e alla purezza delle origini; riscopriamo la culla in cui siamo nati. Troppo ci siamo allontanati da Betlemme; la nostra fede si è sovraccaricata di ragionamenti complicati e talvolta astrusi che stonano con lo spettacolo di quel "bambino nella mangiatoia "; la nostra Chiesa si è appesantita come una vegliarda carica di anni e di cose. Essa non è più la " giovane sposa " dei primi giorni (la sposa " ricercata", come la chiama Isaia nella prima lettura); rughe profonde sono comparse sul suo volto, rughe che, come quelle della donna, sono il segno di stanchezze, di prove, di numerose e sofferte maternità, di dolori avuti dai figli, ma soprattutto di peccati. Ma la Chiesa per fortuna non è una sposa qualsiasi per le cui rughe non c e rimedio; è il corpo di Cristo e la sposa dello Spirito Santo. Non è perciò un pensiero di tristezza e di delusione che noi stiamo esprimendo in questo giorno di Natale, ma un pensiero di speranza: colui che può fare nuove tutte le cose (Ap. 21, 5) può fare nuova, prima di tutto, la sua Chiesa e lo farà; anzi, lo sta già facendo! Lo Spirito sta realizzando, senza che noi siamo in grado di misurarne la portata, il desiderio profetico di papa Giovanni nell'indire il Concilio Vaticano II, di un " ringiovanimento della Chiesa". " Riproporre al mondo d'oggi una Chiesa vivente e sempre giovane - diceva che sente il ritmo del tempo, che in ogni secolo si orna di nuovo splendore... pur restando sempre identica a se stessa, fedele all'immagine divina impressa sul suo volto dallo Sposo che l'ama e la protegge " (Cost. di indizione del Conc. Vat. II). Lo svolgimento dei lavori del Concilio doveva dimostrare con chiarezza qual era il " nuovo splendore " che Cristo riservava per la sua Chiesa in questo secolo: la riscoperta di essere Chiesa dei poveri e Chiesa povera: " Come Cristo da ricco che era si fece povero (2 Cor. 8, 9), così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per diffondere anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione: essa riconosce nei poveri l'immagine del suo Fondatore " (Lumen Gentium, 8). Questo significa, concretamente, andare a Betlemme. Non possiamo pretendere che la Chiesa torni ad essere ciò che era in quei primi giorni: una capanna con dentro Maria, Giuseppe e il bambino, ma dobbiamo far sì che tutto quello che la Chiesa è ed ha serva per portare agli uomini, e in particolare ai poveri, il lieto annuncio. I pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto. Noi siamo chiamati ora a fare lo stesso: a glorificare Dio per la parola che abbiamo udita, per il pane che egli ora ci spezza, per la gioia che ci ha moltiplicato nel cuore. Siamo chiamati, tornando a casa, a dire ad altri ciò che abbiamo appreso del bambino. |