Omelia (18-11-2015)
Paolo Curtaz


È una parabola esigente, quella delle monete d'oro date dal padrone ai servi. Dura all'inverosimile, con quel gesto di sfida verso chi ostacolava il re, contro il servo pauroso che seppellisce il piccolo tesoretto invece di farlo fruttare. Ma tutto acquista un significato diverso quando leggiamo l'ultima frase: Gesù si sta dirigendo verso Gerusalemme. Lì ci sarà la resa dei conti ed egli lo sa bene. Sa anche che, probabilmente, a Gerusalemme potrebbe consumarsi la tragedia, potrebbe perdere la vita. È lui per primo che ha fatto fruttare il denaro che gli ha dato il Padre. Non dieci volte tanto ma cento volte tanto. La sua predicazione ha radunato folle sterminate. Si è fatto cibo per la folla affamata, non ha risparmiato una sola ora delle sue giornate e del suo sonno. Ha percorso migliaia di chilometri per rendere testimonianza al Padre. Ma sa anche che la tensione, attorno a lui, sta crescendo. Vorrebbe un finale come quello della parabola, ma non ci sarà nessuno ad intervenire contro i suoi avversari. Ma questo ancora non lo sa. Perciò ci chiede tanto. Perché molto di più ci ha donato.