Omelia (20-11-2015)
Paolo Curtaz


Dopo avere pianto sulla città il Signore entra nel tempio per predicare. Tenta ancora, osa, sfida l'inevitabile. Non si arrende, come avrei forse fatto io, non si rassegna. Anche se tutto appare inutile, anche se le sue parole riecheggiano come folli e inutili, parla. Parla con forza, con convinzione. Chiede di non riporre fiducia in quelle pietre, in nessuna pietra. Ricorda a tutti che il rapporto con Dio non è un mercanteggiare con lui dei favori. Va all'essenziale, ad un popolo stordito dalla gloria del tempio e dallo sfarzo delle liturgie richiama la vita interiore, la vita spirituale, essenziale e dimessa. Parla di un Dio vicino ad un popolo che sente invece parlare dell'inaccessibilità del divino. Parla di conversione a gente che sente solo parlare di sacrifici. Ma insiste. Perché ci crede, perché difende il vero volto del Padre. Perché non si arrende. La folla pende dalle sue labbra, è affascinata. Ma non basta, il popolo che lo ama non sarà in grado di salvarlo dalle perverse e sottili logiche del potere religioso dimentico della verità. La verità che ci rende liberi per diventare finalmente credenti.