Omelia (26-12-2015)
Paolo Curtaz


Con un tempismo perlomeno discutibile, la Chiesa ci fa celebrare, all'indomani del Natale, la memoria del primo discepolo ucciso: Stefano di Gerusalemme. Per ricordarci che credere non è un affare da bambini.
Amo la Chiesa. Tanto. Perché tira diritto per la propria strada, perché tiene lo sguardo fisso sul proprio Signore, e quanto non lo fa combina un sacco di pasticci. Mi piace il fatto che ci mandi di traverso il panettone allo zabaglione. Che ci renda indigesto il Natale. Mi piace che ci richiami alla verità delle cose, che ci ammonisca a non lasciarci prendere dalle sdolcinature Natalizie che provocano un innalzamento della glicemia spirituale. Stefano muore. Perché ha seguito Gesù. Che muore. Stefano muore per non piegarsi alla logica del mondo, perché si rifiuta di rinnegare il proprio Signore. Gesù nasce, Dio diventa uomo a Betlemme. Ma l'uomo non lo accoglie. La luce viene nelle tenebre ma le tenebre sono insofferenti alla luce, perché mette in risalto le ombre. In una giornata nuvolosa nessuno vede le ombre. Abbiamo bisogno del sole per vedere le nostre ombre. Ora: va bene emozionarsi davanti al bambinello e ai canti natalizi così intensi. Ma poi, per favore, ricordiamoci bene che quel bambino è il segno di contraddizione. Il martirio di Stefano ci ricorda che è pieno di sangue il Natale che abbiamo infarcito di zucchero.