Omelia (18-02-2018)
Gaetano Salvati


L'incontro con Cristo risorto deve compiersi mediante una profonda preparazione spirituale, da attuare in gesti d'amore e nell'annuncio della liberazione dal male. La liturgia della Parola ci offre la possibilità di sfruttare il tempo di Quaresima. Innanzitutto, il vangelo: san Marco, descrivendo due episodi della vita di Gesù (la permanenza nel deserto e la tentazione, Mc 1,13; l'inizio del suo ministero pubblico, v.14), ci invita a seguire l'esempio del nostro Salvatore, e a mettere in pratica le sue parole ("convertitevi e credete al vangelo", v.15). Per iniziare serenamente il nostro itinerario quaresimale è necessario lasciarsi sospingere verso il deserto (v.12). Il deserto è il luogo del silenzio, lo spazio concesso alla nostra anima, dove l'avvento di Dio, la sua volontà di comunicarsi all'uomo, compenetra l'esodo della creatura. In questo luogo Dio è presente e si fa sentire se la nostra anima, non dissuasa dalle voci assordanti del mondo, è in ascolto dell'Altro. Aprendo il nostro cuore al desiderio di Dio di trattenersi con noi, siamo in grado, anche, di superare o di affrontare le prove che la vita pone dinnanzi ai nostri passi. Il fondamento di questa certezza è offerta da Cristo Signore: subendo liberamente la tentazione, mostra all'uomo che non deve temere alcun male; nessun grido affannato, rivolto a Lui, rimane nelle tenebre del disinteresse, ma, ad ogni croce sparsa per il mondo, viene data la speranza, resa attuale il mattino di pasqua, di cantare la lode di ringraziamento a Dio.

Sorgono alcune riflessioni. La scelta di Gesù, di lasciarsi tentare da Satana, ci conferma che è possibile rimanere con Lui (non peccare) ed essere guariti, se lo desideriamo, dalla malattia della morte. Altra considerazione concerne la dignità data all'uomo dal Figlio. Gesù sta (nel deserto) con le bestie e gli angeli (v.13); cioè, non cade nella trappola di qualsiasi tentazione, non si spinge da una parte o dall'altra. È il Dio incarnato, sempre solerte a redimere l'uomo e a riportarlo verso i suoi veri orizzonti. L'atteggiamento del Salvatore provoca ad assumere le ambiguità che la complessità umana esige. Ciò evidenzia che i nostri atteggiamenti, accolti come dono del Padre, devono essere continuamente purificati, non distrutti, per essere trasformati in opere di grazia, per testimoniare nella storia la venuta di Dio, e di carità, per aiutare i fratelli a (ri)trovare la strada verso la gloria. In Gesù di Nazaret, quindi, il cristiano non va alla ricerca del proprio compimento: Cristo ha già realizzato le nostre aspirazioni; per cui aderire allo sconforto, rinunciando alla gioia, vuol dire abbandonare le vie tracciate dal Maestro e cadere nella tentazione più pericolosa, non confidare nel suo intervento misericordioso e potente, ne credere al vangelo. Secondo san Marco, Cristo stesso è il vangelo, il contenuto della buona novella del Padre; infine, l'occasione per l'uomo di approdare alla vita. Sorge, allora, l'urgenza della conversione per poter credere alle sue parole (v.15). Tale urgenza non si riferisce al tempo che passa inesorabile; ma, alle occasioni che, a volte, non profittiamo. Le parole del Maestro: "il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (v.15), stanno a ribadire che ogni attimo della nostra esistenza è quello giusto per modificarsi (convertirsi) e comprendere che la salvezza giunge da Cristo. Occorre un deserto nella nostra vita, per prendere coscienza e approfondire la nostra realtà di creature con cui il Signore ha stretto un'Alleanza eterna e unilaterale. Bisogna rendersi conto che ogni ora è l'ora concessa all'uomo da Dio per salvarlo.

Non perdiamo tempo. Concediamo a noi stessi e a Dio degli attimi: a Dio, perché ci aiuti a maturare nella fede; a noi, perché possiamo fare un lungo intervallo in sua compagnia, nel deserto della nostra anima.