Omelia (18-02-2018) |
don Luca Garbinetto |
Tra belve e angeli: la corte celeste abita il deserto Nel libro di Giobbe, parabola coraggiosa che affronta le dure domande di senso di fronte al dramma della morte e del male, si racconta di un Dio seduto nel cielo e attorniato dalla sua corte celeste. Accanto a Lui vi sono i ‘figli di Dio', riconoscibili negli angeli, e fra di loro si insinua Satana, che vuole mettere in difficoltà l'uomo, creatura amata da Dio. Girando per la terra ha visto infatti la fedeltà di Giobbe, credente di fede integerrima, e si appresta a tentare la sua fiducia nella misericordia infinita del Signore. Nel vangelo di Marco, accade qualcosa di inaudito. La corte celeste si sposta, e con Gesù viene letteralmente ‘gettata' nel deserto. Non è più soltanto Satana a scendere sulla terra, ma è Dio stesso, nel suo Figlio incarnato, che ‘inventa' una nuova location per esercitare la Sua sovranità. Il Re, battezzato fra i peccatori di Israele, sceglie di fermarsi e percorrere con loro la dura via dell'esodo. Nel deserto dell'umanità si incontrano le tensioni selvagge e animali, che troppo spesso vediamo risaltare nelle prime pagine dei giornali. Quali tratti bestiali emergono dai comportamenti e dagli atteggiamenti degli uomini, quando essi cedono alle tentazioni di Satana, che si insinua a sollecitare le crepe della nostra istintualità e del nostro razionalismo egocentrico! Ma ora Gesù ha scelto di fare sua questa natura creata, perché fosse vinta la menzogna del Tentatore. Non è più soltanto la volonterosa pazienza dell'uomo virtuoso, come Giobbe, a contrastare l'agire dell'Accusatore. Una nuova forza impregna la carne umana, nell'agire dello Spirito che consegna al Figlio una certezza: ‘Tu sei l'Amato, il Prediletto'. Dunque non sei solo. E soprattutto è iscritta in te, proprio in quel corpo umano di cui ti sei fatto carico, la verità di una identità divina, di una tensione alla Vita piena, di una bellezza che trascende i grani della polvere. La battaglia nel deserto è vinta perché Dio rimane nell'uomo e all'uomo propone di rimanere in Lui. Non si tratta di annullare o di sfuggire ai segni della propria limitatezza e a quanto ci rende famigliari alle altre creature della terra. Gli impulsi e gli affetti, le tensioni e le contraddizioni del cuore, i travagli della carne debole, perfino la nostra mortalità non sono necessariamente residenza consegnata al Maligno. Divengono piuttosto appello e invocazione, dunque opportunità, per lasciare agli angeli, messaggeri e abitanti della corte celeste, di aprire il varco al Re e spalancarGli la porta d'accesso in noi. Gesù si stabilisce nel deserto del nostro animo, sede di paradossi e di contraddizioni, ma stanza tanto cara nella quale Egli si specchia, ritrovandovi il Suo volto, lì impresso fin dalla creazione del mondo. La corte celeste, con il Suo sovrano, è dunque scesa in terra fra noi, per rimanervi tanto quanto anche noi non rinunciamo a intraprendere con Lui l'itinerario dell'esodo. Non c'è bisogno di oltrepassare oceani o mari, quanto piuttosto si tratta di volgere il nostro volto al fratello, proprio nel momento in cui la storia - come capita per Giovanni, il Battista - ci propone la sua sofferenza e ci sollecita con il suo dramma. Stare in contatto con la propria ambiguità, per riconoscervi la possibilità di una intima armonia con il Signore, è allo stesso tempo scegliere di volgere lo sguardo alle ambivalenze dei popoli, per farsi in esse portavoci dell'annuncio di speranza scoperto in noi: anche tu sei Figlio prediletto e creatura destinata al Cielo! |