Commento su Genesi 22,1-18; Marco 9,2-10
Dopo la prima domenica di quaresima, che è segnata dal vangelo delle tentazioni di Gesù, ogni seconda domenica di quaresima ripropone il vangelo della trasfigurazione, che leggeremo quest'anno nella versione di Marco: dopo aver presentato la scelta del Messia Gesù, la liturgia ribadisce la necessità che anche i suoi discepoli scelgano come il Maestro.
GENESI 22, 1-18
Oggi affrontiamo un testo che mette in crisi! Cerchiamo di capire insieme, affidandoci all'aiuto di "tecnici" che studiano la Parola, per capire cosa ci vuol dire. Il testo è Genesi 22. Innanzitutto ricordiamo che Genesi è stato scritto nel periodo dell'esilio a Babilonia. Il popolo di Giuda si trovava in una situazione di enorme disperazione. Dio aveva forse dimenticato tutte le sue promesse? L'avvenire del popolo doveva essere sacrificato, assimilato alla cultura babilonese? Abramo, nel racconto, vuole dire con i fatti che occorre avere fede in Dio, nonostante le apparenze, contro il "buon senso".
Innanzitutto domandiamoci: "Quale immagine di Dio abbiamo?" Normalmente vogliamo un Dio a immagine dell'essere umano ideale! Pensiamoci...
Il punto essenziale della storia di Abramo è la sterilità della coppia Abramo-Sara a cui si contrapponeva la promessa divina, che annunziava al patriarca un figlio e per suo tramite una discendenza numerosa come le stelle del cielo. Finalmente si realizza la promessa con la nascita di Isacco, il figlio del sorriso, Dio gli chiede questo figlio! Innanzitutto occorre dire che in numerose religioni dell'antichità, i sacrifici umani e molto spesso i sacrifici di bambini, erano offerti nei momenti di crisi, quando una comunità non vedeva altre possibilità di provocare a proprio favore l'intervento della divinità. L'immagine che loro e anche noi ci siamo fatti di Dio è un idolo, perché legittima le nostre aspirazioni umane. Invece Dio è altro da noi! Torniamo al testo. Dio dice ad Abramo: "Va nel territorio di Moria" che in ebraico significa "vedere""offrilo in olocausto su di un monte", letteralmente"fallo salire in alto". Il patriarca reagisce esattamente come all'inizio della storia con Dio. Abbandona il suo passato, la sua terra e adesso gli viene chiesto di sacrificare il futuro. Abramo si mette in cammino. Rimane muto. Il silenzio di Abramo è costante. Abramo immagina Dio secondo gli schemi del suo tempo. Pensa di dover offrire suo figlio in olocausto. La parola ebraica tradotta da olocausto è far salire. Nella tradizione ebraica questo episodio è chiamato: "La legatura d'Isacco". E' come se Isacco dovesse essere legato per salire verso il Signore, legato per non cadere nell'accecamento di Adamo. Con questo ultimo e supremo gesto, Abramo dimostra di fidarsi dell'Eterno al punto di credere che la sua storia non può rivolgersi al male, perché Dio è il Bene. Abramo non sa come, ma si fida di Dio, che non gli può chiedere il male. "Giuro per me stesso" gli dice la voce interiore "perché tu non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione. La benedizione è la fecondità della vita. Ogni storia può diventare quella di Dio.
MARCO 9, 2-10
Oggi leggiamo il Vangelo della trasfigurazione, cerchiamo di capire cosa vuol dire a noi, alla nostra vita. Il Vangelo non vuole essere un testo storico ma ci vuole dire in concreto cosa dobbiamo fare. Innanzitutto ci troviamo su un alto monte.
Nella prima lettura Dio dice ad Abramo: "Fallo salire in alto". Prima della trasfigurazione "per via" "lungo la strada" Gesù guarisce. Il tempo della strada è il tempo della stanchezza, vivere stanca, ma quasi per trovare ristoro alla stanchezza Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte loro soli. Perché questo privilegio? I padri della Chiesa dicono che Pietro è scelto perché ama molto il Signore.
Giovanni perché è molto amato dal Signore e Giacomo....perché non c'era motivo! E' bello c'è una sovrabbondanza...Pietro rappresenta la fede, Giovanni l'amore, ma c'è un posto anche per te! C'è posto per chi ha buoni motivi, ma anche per chi non li ha. Per verdere l'anticipazione del regno di Dio, per vedere questa luce, bisogna credere, impegnarsi, scegliere, ma anche ricevere ciò che viene dato gratuitamente, che non ci siamo meritato, che non abbiamo costruito, lasciare che la sovrabbondanza colmi!
Noi molte volte ci immaginiamo un Dio, simile all'ideale umano, ma qui ci viene detto che per stare vicino al Signore, bisogna anche distanziarsi. Vanno in un luogo separato. C'è una luce abbagliante! Noi spesso vogliamo capire, vogliamo vedere, ma Marco ci dice che le vesti erano bianchissime, come nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle tali! Vedere tutto non è la realtà! Il vestito è l'immagine di come ciascuno di noi si presenta agli altri, di quello che gli altri vedono. I vestiti oltre a mostrare, nascondono: questa non è menzogna, è la nostra verità: solo Dio è piena LUCE, solo lui non ha bisogno di coprirsi un po'!
"E apparve loro Elia con Mosè, e discorrevano con Gesù". Elia e Mosè rappresentano i due grandi ideali: essere giusti ed anche pii! Essere giusti e pii sono un gradino per dialogare con il Signore, ma c'è Giacomo, quello in più; la SALVEZZA è un'altra cosa, è molto più che la giustizia, è molto più che essere pii e religiosi.
La tenda che Pietro vuole fare, anzi le tre tende, indica lo stare lì: l'incarnazione di Gesù è la tenda di Dio tra gli uomini! Ma il risultato di questa idea di Pietro è la paura:"Non sapeva infatti cosa dire, poiché erano stati presi dalla paura. Quindi tutta questa luce, vedere fa paura! Perché siamo posti di fronte al radicalmente diverso, al totalmente altro. Gesù si è fatto uguale, ma la grande luce rimane quella distanza infinita tra noi e Dio. Di fronte a questo spavento Dio si intenerisce e fa venire la nube. Da questa nube esce una parola rassicurante, che spiega e dice: "Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo!" Questo pezzetto di differenza, Gesù, la reggiamo. Mentre scendevano dal monte Gesù ordina loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, chiedendosi cosa volesse dire risorgere dai morti! Ancora noi oggi ce lo chiediamo! Cosa ci aspettiamo? Quale salvezza ci aspettiamo? Che la vita funzioni un po' meglio! Questo ce l'abbiamo già, il solo fatto di svegliarci, di vivere, di essere capaci di amare in qualche modo, il fatto di avere amici, che il sole sorga ogni mattina, che respiriamo...tutto questo è già un occhio di riguardo di Dio per noi. Io direi che c'è una luce, che non sono in grado di sopportare e che è meglio se nel tempo della storia teniamo presente che c'è, e quindi viviamo sapendo che c'è una salvezza gratuita, ma va bene anche un po' di ombra sul nostro capire, sul nostro sapere!
Quello che ho colto da questo brano per la mia vita è che se guardo gli altri con occhi nuovi, come se guardessimo per la prima volta, li vedremmo in un'altra luce! "Se il tuo occhio è chiaro, tutto il corpo sarà nella luce." Il modo positivo di guardare il prossimo, chiunque è l'essere eterno amato da Dio, apre in lui uno spazio di fiducia nel quale può rivelarsi in tutta la sua bellezza. Ognuno è il Figlio diletto del Padre, noi abbiamo il potere di risvegliare nell'altro l'essere meraviglioso che è seppellito dietro la paura del giudizio, dietro la vergogna dei propri limiti, dietro il senso di colpa che le pretese altrui destano. La voce del Padre rivela a chi la ascolta lo splendore e la preziosità del fratello.