Omelia (25-12-2002) |
padre Raniero Cantalamessa |
Questo per voi il segno: un bambino in una mangiatoia In questa liturgia notturna del Natale, una cosa ci è soprattutto necessaria: una grande semplicità. Solo chi ha, o sa darsi, occhi di bambino è capace di stupirsi sempre di nuovo di ciò che ascolta questa notte. Lo stupore è la porta per entrare nell'adorazione e nella gioia del Natale. Chi vuole fare il grande, l'adulto, il ragionatore, anche davanti al suo Dio che si fa bambino, non capirà nulla. E' qui con noi al banchetto eucaristico, ma come quell'invitato che non aveva la veste nuziale. " Gioire davanti a Dio come si gioisce durante la mietitura", ci ha suggerito Isaia nella prima lettura. Perché gioire? " Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio ". Ma non nascono tutti i giorni e tutte le ore dei bambini? Certo: e infatti ogni nascita è un motivo di gioia e di speranza. Lo è anzitutto per la mamma che lo ha atteso, come dirà Gesú un giorno; lo è per il mondo; lo è per Dio. Ogni bimbo che nasce in questa terra è un segno che Dio non dispera ancora degli uomini. Ma il bambino di cui commemoriamo la nascita questa notte reca ben altri motivi di speranza e di gioia. " Sulle sue spalle è il segno della sovranità... Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine... Egli viene a consolidare la giustizia ". Con lui, ha proseguito san Paolo nella seconda lettura, " è apparsa la benignità di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini ". Tutti questi motivi li abbiamo poi sentiti riassunti nel primo annuncio del Natale, quello fatto ai pastori: "Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia che sarà per tutto il popolo: oggi è nato un Salvatore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". Possiamo fermarci qui. Il paradosso del Natale (e dell'intero Vangelo) è tutto contenuto in queste parole. Grandi cose si attendevano da questa nascita ' lo abbiamo sentito: gioia, pace, giustizia, salvezza. E poi eccoci condotti davanti a un bambino in una stalla, davanti allo spettacolo piú concentrato di debolezza, di impotenza e di povertà che l'umanità abbia mai immaginato. Completano questo quadro Maria e Giuseppe, due di quelle creature per le quali non c'è mai posto nell'albergo. La pace e la giustizia per tutto il mondo da uno che non ha avuto neppure una casa per nascere. In quel tempo, altri parlavano di pace e di giustizia al mondo. Era quel Cesare Augusto che abbiamo sentito nominare all'inizio del brano evangelico. L'evangelista lo ha nominato qui, evocando la potenza e lo splendore della Roma imperiale, per creare il piú forte contrasto con il bambino che nasce nell'oscura borgata della Giudea. Anche Cesare Augusto si faceva chiamare salvatore e principe della pace. Dopo di lui, ogni imperatore che saliva al trono era salutato con scritte incise sulle monete che lo chiamavano " restauratore del mondo", " atteso delle genti", "restitutore della luce ". E, in verità, gli uomini fino a quel giorno avevano sempre pensato cosí: che, cioè, solo chi è forte, chi ha eserciti, chi ha il comando, può imporre agli altri la pace e portare la salvezza. Dio ha rovesciato, con il Natale di Cristo, tutte queste false certezze degli uomini. " Dio - ha scritto Paolo - ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. (1 Cor. 1, 27). E che cosa è piú stolto per il mondo della povertà; che cosa è piú debole di un bambino? Per questo egli ha scelto di darci questo segno: un bambino in una mangiatoia. Solo Dio poteva pensare a un rovesciamento cosí totale della logica umana; solo lui poteva pronunciare un " no " così potente a ciò che gli uomini hanno sempre posto in cima alla loro scala di valori: alla ricchezza, al potere, agli onori, all'autorità. Noi, da soli, non ci avremmo mai pensato, ma adesso che lo sappiamo ci rallegriamo e diciamo con gioia a Dio il nostro " si ". Tu hai nascosto queste cose ai grandi e le hai rivelate ai piccoli: si, o Padre, perché cosí è piaciuto a te (cf. Mt. 11, 26). 1 grandi, i potenti, i forti, d'ora in poi, non ci faranno piú paura come facevano paura un tempo. Tu hai confuso i sapienti e i forti e questo ne è, d'ora in poi, il segno: un bambino in una mangiatoia. Avresti potuto nascere a Roma, nella reggia imperiale, come figlio del piú potente della terra. Lí aveva immaginato la tua nascita il poeta pagano nella celebre Quarta Egloga. Sarebbe stata anche quella un'incarnazione teologicamente perfetta; saresti stato " vero Dio e vero uomo " anche cosí. Ma adesso sappiamo come sarebbe stato diverso. Avresti detto "sí" a ciò che gli uomini avevano sempre pensato. Nulla di veramente nuovo sarebbe cominciato, nessun corso nuovo nel mondo. Invece, per te, piú che farti -uomo, era importante farti povero e umile. Cosí tu hai dato davvero una speranza ai poveri della terra, ai derelitti, a quelli che non contano. Hai dato una speranza " a tutto il popolo", perché non tutti possono essere ricchi, sapienti e forti in questo mondo, ma tutti possono diventare umili. Una cosa ci resta ora da capire a conclusione di tutto: che la speranza di pace e di giustizia che tu rechi ai poveri non è un tranquillante per nessuno; non è un "oppio del popolo"; non è, cioè, un surrogato di quel - l'altra pace e di quell'altra giustizia che tanto tormentano gli uomini di oggi, ma ne è la premessa e il fondamento. Ora il nostro pensiero si volge all'Eucaristia che stiamo per celebrare. li segno del bambino nella mangiatoia si fa presente nel segno, non meno umile, del pane sull'altare. Che diremo a Gesú questa notte, noi comunità riunita nel suo nome? Una parola sola: Grazie, Signore! |