Omelia (25-02-2018)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Lucia Piemontese

Nella seconda domenica di quaresima la liturgia ci propone sempre il Vangelo della Trasfigurazione del Signore. Quest'anno l'ascoltiamo nella versione di Marco.
Il racconto comincia con la notazione temporale "sei giorni dopo". Cosa è accaduto sei giorni prima? C'è stata la confessione di Pietro "Tu sei il Cristo" a Cesarea di Filippo e, subito dopo, il primo annuncio della passione da parte di Gesù, annuncio al quale l'apostolo si è opposto. Nel capitolo 8 di Marco si comincia a parlare della passione e morte di Gesù ed anche della croce del discepolo che voglia seguirlo.
Sei giorni dopo questi fatti, Gesù rivela per un poco il mistero della sua persona a Pietro Giacomo e Giovanni, i tre discepoli più intimi, quelli che ha voluto accanto in alcuni momenti particolari come il miracolo di resurrezione della bambina morta e l'ora della prova e dell'angoscia al Getsemani.
Saliti sul monte, luogo sacro, Gesù viene trasfigurato, cambiato nella sua forma (Marco non dice nulla sul volto) e le sue vesti divengono bianchissime e splendenti. Con il verbo al passivo e l'espressione pittoresca sul lavandaio l'evangelista ci vuol indicare una trasformazione che viene dal Cielo, uno splendore non raggiungibile sulla terra. Viene resa manifesta la gloria nascosta in Gesù, l'identità divina - ma ancora segreta - di quel Figlio dell'uomo che ha annunciato il suo prossimo cammino di passione morte e risurrezione.
La presenza di due personaggi chiave dell'antica alleanza quali Mosè ed Elia e il loro conversare con Gesù funziona da testimonianza, sta ad indicare che in Lui si realizzano le profezie e le promesse dell'Antico Testamento. Gesù è il compimento della Legge e dei Profeti; Gesù è l'atteso, colui che Mosè aveva annunciato parlando di un profeta futuro (cf Dt 18,15); Elia era il profeta che doveva tornare (cf Ml 3,23). Più avanti i due scompaiono e resta Gesù solo proprio perché in Lui si ricapitolano le Scritture.
Pietro prende la parola, ha bisogno di esprimere innanzitutto la gioia e la bellezza della situazione, una situazione che vorrebbe rendere stabile piantando delle tende. L'evangelista però parla anche di spavento, perché nei discepoli c'è un misto di emozioni e sentimenti contrastanti e tanta difficoltà di comprensione.
Scende una nube dal cielo, segno della presenza di Dio e del suo Spirito, e si ode la voce del Padre che parla ai discepoli e da testimonianza su Gesù: è Lui il suo figlio diletto, amato. Lui bisogna ascoltare.
Dopo questo, avviene il repentino termine dell'esperienza. E' come uno svegliarsi improvviso: tutto svanisce. I discepoli si ritrovano con il Gesù di ogni giorno, solo, spoglio della gloria manifestata prima.
Egli non dice nulla di quanto accaduto se non per vietare di parlarne. Bisogna infatti attendere la risurrezione perché la sua vicenda sia pienamente compiuta. I discepoli obbediscono, ma l'evangelista nota che essi non riuscivano a comprendere le parole del Maestro, si interrogavano su cosa volesse dire risorgere dai morti.
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Il Vangelo della Trasfigurazione è in se stesso molto ricco e la lettura sinottica ne fa emergere appieno tutte le luci. Per capirlo bene c'è da metterlo in relazione con le altre letture proposte e anche da chiedersi quale significato assuma all'interno del cammino verso la Pasqua. La Chiesa attraverso l'intera liturgia della Parola e le orazioni proprie di colletta aiuta la nostra riflessione.
Il figlio amato
La scelta delle altre letture di questo anno ci spinge a porre attenzione alla figura del "figlio amato". Isacco (1a lettura) è il figlio amato, l'agapetòs (oltre che "unico") e Dio lo chiede ad Abramo in sacrificio a prova della sua fede. In realtà Isacco sarà risparmiato; egli, infatti, doveva essere figura di Gesù, il Figlio di Dio, l'agapetòs, che non è stato risparmiato ma è stato dato per tutti noi, prova dell'amore e della fedeltà del Padre nei nostri confronti (2° lettura). Nel Vangelo Dio rende testimonianza su Gesù definendolo suo Figlio, l'amato.
Chiamare "figlio" Gesù è un linguaggio messianico (rimanda al salmo 2), vuol dire che Lui è il Messia/Cristo.
L'insieme delle letture di oggi ci conduce alla contemplazione su Gesù, il Figlio che Dio ama, il Figlio che non è stato risparmiato e non si è risparmiato, che è morto e risuscitato ed ora intercede per noi presso il Padre.
La testimonianza del Padre
La voce dalla nube ci dice che il Figlio amato di Dio è "questo" Gesù, questo Gesù che il Vangelo ci presenta tutti i giorni, che si mette in fila con i peccatori al Giordano, che vive trent'anni nella quotidianità di Nazaret, che viene a servire, che fa miracoli ma rifiuta la gloria delle folle, che è l'uomo delle beatitudini, che abbraccia volontariamente la sofferenza e la croce. E' il Gesù dell'abbassamento e dell'umiltà, è il Figlio dell'uomo pronto a donarsi, è il Gesù "solo" e "feriale" che nasconde in sé la gloria del Figlio di Dio. Gesù aveva già ascoltato la voce del Padre che gli rendeva testimonianza al Giordano. Sul monte quella voce ha risuonato per i discepoli: ascoltatelo! Oggi risuona per noi.
Siamo chiamati a contemplare il mistero di gloria e nascondimento di Gesù, ad approfondire ed affinare il nostro sguardo di fede. Questo ci può portare a guardare anche la nostra realtà con altri occhi e a cogliervi maggiormente la presenza e l'opera di Dio. La Trasfigurazione del Signore, infatti, ci fa capire che come c'è un mistero di luce e d'amore nascosto nel Gesù "di tutti i giorni" così c'è un mistero di luce e d'amore nascosto nelle persone (noi compresi) e negli avvenimenti della nostra vita quotidiana.
come i discepoli
Giustamente Pietro è contento nell'esperienza sul monte: di fronte a Gesù Signore glorioso ogni desiderio umano è appagato, è la meta alla quale tendiamo. Ma al momento viviamo soprattutto la confusione dei primi discepoli; ci da gioia ciò che è bello e gratificante nella nostra esperienza di fede, ci pesa l'oscurità quotidiana e la prospettiva del sacrificio e della croce. Come la Trasfigurazione del Signore doveva sostenere i primi discepoli, così deve servire anche a noi per rafforzare la fede di fronte al mistero della passione e morte di Gesù.
Scendendo dal monte, Gesù mette in relazione l'evento della trasfigurazione con quello della risurrezione. Infatti la prima è una anticipazione, uno squarcio sulla gloria della seconda. Ciò è vero per Lui ma in qualche modo anche per noi. Siamo chiamati per grazia a condividere il suo destino di risurrezione e di gloria, la sua risurrezione è per la nostra risurrezione. E allora la sua Trasfigurazione ci parla anche della nostra trasformazione, della vera immagine di Dio che viene ricreata in noi per mezzo di Gesù. Come dice Paolo:" Noi, dunque, riflettendo senza velo sul volto la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, conforme all'azione del Signore che è Spirito" (2Cor 3,18).
Contemplando la Trasfigurazione di Gesù, siamo fatti consapevoli che Lui è Figlio di Dio, abitato da una gloria nascosta che si manifesterà nella sua risurrezione. E che si manifesterà anche in noi al momento stabilito.
La luce del tabor illumina il cammino verso Pasqua
Siamo ancora nella prima parte del tempo di quaresima e il Vangelo ci invitata a salire sul monte della preghiera e della intimità con Dio per contemplare e ascoltare il suo Figlio amato. Così l'opera di Dio si compirà anche in noi e saremo illuminati per accogliere quello che il Figlio ci rivelerà nella Parola delle prossime domeniche di questo anno liturgico: Lui è il nuovo tempio (terza domenica) nel quale diamo culto a Dio, Lui è l'innalzato=Crocifisso da guardare per ricevere la guarigione/salvezza (quarta domenica), Lui è il chicco che muore per produrre frutto, che ci insegna a morire per entrare nella vita (quinta domenica). Gesù trasfigurato illumina questo cammino e noi vogliamo percorrerlo con gioia alla sua sequela.