Omelia (25-02-2018)
dom Luigi Gioia
Da Padre a padre

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8,31b) Abbiamo bisogno di armarci di questa frase di Paolo per affrontare la difficile pagina odierna tratta del libro della Genesi: In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, e offrilo in sacrificio". (Gn 22,1-2) Abramo dolorosamente obbedisce: prende il figlio, il legno, il coltello e inizia la lenta e angosciante ascesa del monte Moria dove, un istante prima dell'immolazione di Isacco, il Signore interviene per impedirne il compimento. Che senso dare ad una richiesta così crudele? Davvero Dio aveva bisogno di imporre una tale prova ad Abramo per verificarne l'obbedienza e la fede? L'immagine di Dio che ne ricaviamo è difficile da riconciliare con quella del Padre annunciato da Gesù.
La frase di Paolo citata all'inizio e il Vangelo della trasfigurazione ci suggeriscono che vi è un senso nascosto in questa pagina della Genesi che occorre decifrare per capire chi è il Dio che esige da Abramo un tale sacrificio.
Nella Genesi Dio dice ad Abramo Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco (Gn 22,2), e nel Vangelo il Padre afferma ai discepoli: Questi è il figlio mio, colui che io amo (Mc 1,11). Il Padre del Vangelo ci è dipinto con i tratti di Abramo: entrambi hanno un figlio che amano. Entrambi si sono trovati nella angosciante situazione di dover offrire questo figlio che amavano in sacrificio. La differenza tra di loro è però che Abramo non ha dovuto spingere questo sacrificio fino ad uccidere Isacco, mentre il Padre ha dovuto lasciare che la malvagità umana assassinasse il proprio figlio - perché Gesù è stato ucciso per volontà nostra, non di Dio, è stato crocifisso da noi, non dal Padre: Il Padre - dice Paolo - che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,32)
Il parallelismo non termina però qui. Grazie al sacrificio della propria fede, Abramo diventa colui attraverso il quale ogni dono e ogni benedizione di Dio sono trasmessi a tutta l'umanità: Attraverso di te, - gli dice Dio - attraverso la tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra (Gn 22,18). Ed è effettivamente dalla discendenza di Abramo che è stato generato Gesù, il dono per eccellenza, colui nel quale il Padre ci benedice, dice bene di noi, infonde il bene in ciascuno di noi.
La richiesta ad Abramo di una tale estrema offerta di sé, di tutto quello che aveva, tutto ciò in cui sperava, di Isacco, simbolo di tutti i doni che aveva ricevuto dal Signore - una tale richiesta non gli è stata rivolta da un Dio indifferente al suo dolore, lontano, assente, crudele. Ben al contrario, è venuta da un Padre ad un altro padre. Il Padre Dio chiede al padre Abramo di compiere un atto che farà di lui un segno perenne della sconvolgente serietà dell'amore di Dio per l'umanità: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio (Gv 3,16).
Abramo ha presagito il senso delle parole di Paolo millenni prima che fossero pronunciate: Egli, il Padre, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? (Rm 8,32) Con il proprio sacrificio Abramo ha avuto accesso alla paternità di un Dio che ha deciso di spendere tutto se stesso per salvarci, per sottrarci alle conseguenze del nostro peccato, per liberarci, per trasfigurarci.
Questo è il Padre che nel vangelo ci offre il proprio Figlio come il suo prediletto, il suo beneamato e, per questo, come il dono più grande che avrebbe potuto farci. Ce lo presenta con la fierezza di ogni padre per un figlio che ama, che corrisponde al suo disegno di salvezza per l'umanità, nel quale tutti siamo chiamati a diventare figli. Ecco la ragione per la quale il Padre ci invita ad ascoltarlo: Questo è il figlio mio, l'amato, ascoltatelo! (Mc 9,7)
Questo è l'invito che ci è rivolto nella liturgia di questa seconda domenica di quaresima: Ascoltatelo! In esso ci è suggerita la sola risoluzione che darà senso e spessore autentici al nostro cammino quaresimale. Ascoltatelo vuol dire: 'seguitelo!', 'rimettetevi a lui!', 'contate su di lui'. E' lui il nostro più ardente e potente difensore, colui che sta alla destra di Dio e intercede per noi (Rm 8,34).
Ascoltarlo vuol dire credere in lui, pregarlo senza stancarci, senza temere mai che la gravità dei nostri peccati, la piccolezza della nostra fede, l'anemia della nostra speranza possano diventare un ostacolo per la volontà di salvezza del Padre su di noi. Non dobbiamo temere nulla, neppure il facile scoraggiamento dal quale ci lasciamo attanagliare, neppure la nostra inconsistenza, la nostra durezza di cuore. Ci basta riascoltare Paolo: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, il Padre, che non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? (Rm 8,31-32)
Questo Padre non ci donerà lui stesso ciò che ci chiede? Non ci offrirà settanta volte sette (Mt 18,22), cioè sempre, il perdono, la grazia, la gioia, la consolazione. Chi potrà accusarci? (Rm 8,33) Accusare noi, che siamo stati scelti per essere figli nel Figlio? Chi potrà mai condannarci? (Rm 8,34) Certamente non ci condannerà questo Padre che ha dato tutto per noi, né questo Gesù del quale ci è svelato oggi il vero volto, quello dell'amato, del beneamato, del più che amato. Questo Gesù è il figlio che è morto, è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi. In lui possiamo e dobbiamo imparare ad avere fiducia. Lui siamo invitati ad ascoltare.

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui