Omelia (04-03-2018)
don Luciano Cantini
Chiesa, Corpo di Cristo

Trovò nel tempio

Il genere umano ha bisogno di vedere, di toccare, di comunicare; il tempio di Gerusalemme per il popolo ebraico è il luogo della shekinà (la presenza di Dio tra gli uomini). Nel libro dell'Esodo si racconta come Dio si è chinato (Sal 40,2) sul suo popolo e guidato nel deserto dalla nube e la colonna di fuoco, ha fatto un patto solenne di alleanza, ha donato la sua legge, ma l'uomo ha bisogno di vedere e toccare e si è costruito un vitello d'oro. Ecco allora la tenda della Alleanza segno fragile e sottile, troppo provvisorio finché Salomone non costruisce un tempio di pietra, ricco di ornamenti, degno della fantasia degli uomini e della idea di sacro.

Così il tempio diventa segno del potere regale oltre che religioso, intorno al tempio si modella l'Alleanza, le leggi, le consuetudini, le tradizioni, ma anche le discriminazioni; a cortili concentrici i sacerdoti e i leviti sono separati dagli uomini, questi dalle donne, e ancora dalle altre genti. Diventato luogo di amministrazione della giustizia, delle riunioni del sinedrio e anche di mercato, luogo di devozione, di poteri e di traffici; così è apparso agli occhi di Gesù il tempio ricostruito da Erode.


Della casa del Padre

Giovanni, contrariamente ai sinottici che pongono l'episodio poco prima della passione, fa di questo evento un gesto profetico, senza conseguenze all'atto pratico perché non intervengono le guardie non nasce una sommossa. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto [Sal 69,10]: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Anche il passaggio dal presente al futuro del verbo divorare mette in prospettiva profetica questo episodio.

Non fa scandalo l'uso commercializzato del culto quanto piuttosto del degrado del cuore dell'uomo che ne è origine e causa. I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, dirà alla Samaritana (Gv 4,23). Questo allora coinvolge anche noi che non siamo venditori di cose sacre, né propinatori di superstizioni religiose ma che dobbiamo avere grande cura perché il nostro cuore non si degradi e il nostro spirito alberghi nella verità che è Cristo Signore.

Non possiamo permettere che il rapporto con Dio sia mediato da buoi o colombe, o dal denaro piuttosto dobbiamo ver cura delle relazioni tra di noi che sole sono capaci di costruire il vero Tempio di Dio.


Del tempio del suo corpo

La parola tradotta con Tempio dei primi versetti in cui si racconta il gesto di Gesù è in greco hierón ed indica tutto il complesso e particolarmente il cortile esterno; nel dialogo con i giudei è invece usata la parola naós, la parte più intima e nascosta del Tempio, il suo cuore, il luogo della shekinà. I giudei chiedono un segno, perché non comprendo che ciò che ha fatto Gesù è già un segno. Ormai i riti, le tradizioni hanno perso di significato sono come gli otri per la purificazione rituale dei Giudei (Gv 2,6) rimasti desolatamente vuoti che hanno bisogno di essere colmati dell'allegrezza del vino della nuova alleanza (1 Cor 11,25).

Il tempio di pietra è destinato ad andare in rovina [quando Giovanni scrive il tempio di Gerusalemme è già stato distrutto da Tito] e non sarà più ricostruito perché è il Corpo di Gesù il tempio nuovo che lui edificherà per noi.

Ci vorrà l'esperienza della Pasqua perché i discepoli arrivino a comprendere: Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Abbiamo la necessità che la parola del Signore affondi le sue radici in noi perché possa germogliare al tempo opportuno, come i discepoli che credettero di appartenere al Corpo di Cristo, nuovo tempio in cui l'uomo vive la sua relazione con il Padre.