Omelia (18-03-2018)
Carla Sprinzeles
Commento su Geremia 31,31-34; Gv 12,20-33

AMICI, siamo chiamati alla vita, non solo quando siamo concepiti, lo siamo ogni giorno della nostra storia. Abbiamo un nome, ci è stato affidato un compito, apparteniamo a un gruppo, abbiamo una fisionomia. La nostra identità ci è offerta ad ogni istante, ogni istante afferriamo la vita che ci è offerta. La nostra identità è il nostro presente. Se siamo attenti, se ci abbandoniamo senza riserve alla vita, scopriamo il fondamento su cui poggiamo, l'amore che ci avvolge. Le nostre molecole stanno insieme solo perché siamo attraversati da campi magnetici, da forze cosmiche e vitali.

Se però non ci sentiamo amati, non riusciamo a star fermi, resistiamo all'amore o all'esistenza. Non importano i risultati delle nostre azioni, ma importa ciò che siamo, ciò che diventiamo e come facciamo crescere gli altri. Non importa sapere dove si va, importa essere certi che là dove siamo chiamati, un amore ci attende e la vita ci viene consegnata: questa è l'esperienza di Dio, è la scoperta di Dio al fondo della nostra esistenza.

Il dono di Dio, la vita, non la possiamo accogliere in un istante solo, si dipana lungo tutta la nostra vita. Molte volte pensiamo di bastare a noi stessi, di essere già viventi, ma ci illudiamo! Il dono del Padre, che ci arriva attraverso i suoi messaggeri, è più grande delle nostre capacità. Occorre accogliere i piccoli frammenti di vita ogni giorno.


GEREMIA 31, 31-34

La prima lettura è tratta dal profeta Geremia. E' vissuto e ha predicato quando nel 605 Nabucodonosor, re babilonese, vince gli Egiziani e arriva fino a Gerusalemme, che subito si sottomette. Geremia prevede che il nemico viene da Babilonia e intravede la catastrofe: cerca di preparare il popolo, che non lo ascolterà, lo rifiuterà e lo perseguiterà, preferendo seguire i falsi profeti che lo rassicurano. Quando l'avvenimento avrà dato ragione a Geremia, ci si ricorderà del suo messaggio. Grazie a lui il popolo potrà vivere l'avvenimento doloroso con un senso, già preparato.

Il popolo potrà vivere l'esilio con speranza, non cadere nella disperazione e ritrovare un nuovo senso alla vita.

L'oracolo parla di alleanza, che è il rapporto col Signore, quel dono di Dio da accogliere. Parla di una "nuova alleanza" in contrapposizione con l'antica: ossia l'alleanza continua.

Dio promette di scrivere lui stesso sul cuore del credente, è una sorta di firma che Dio appone alle sue promesse.

Mentre per far uscire i padri dalla schiavitù d'Egitto, Jahvh li "prende per mano" attraverso la forza, qui dona nel "cuore" la sua legge. Mentre nell'antica alleanza la legge era stata scritta su tavole di pietra, qui "scrive sul cuore", cioè là dove si trova la memoria, l'intelligenza, le decisioni libere. L'alleanza non è più come un qualcosa di esteriore, di imposto, ma di rispondente al desiderio più profondo dell'uomo, desiderio di bene e di verità. Dio è capace di trasformare la persona e di restituire pienamente la sua libertà ad un orientamento positivo.

Mi fermo un attimo per chiedere a voi e a me:"Siamo ancora fermi all'antica alleanza?" La nuova alleanza è solo iniziata in germe, siamo ancora all'alleanza "delle pietre", la legge civile e quella religiosa è ancora scritta fuori! Ha le sue autorità che la impongono, le sue punizioni, le sue scomuniche! L'oracolo dice "non dovranno più istruirsi l'un l'altro" ossia nessuno insegnerà all'altro perché la legge è scritta non sulle pietre ma nelle coscienze.

Il tempo del passaggio delle due alleanze è stato inaugurato da Gesù Cristo, l'alleanza della libertà, noi siamo sul crinale tra le due alleanze. Noi vogliamo entrare nella cultura di pace, in questa età della pace le cui leggi sono scritte dentro la coscienza: il Maestro interiore, Dio stesso, la Verità parlerà. La profezia di Geremia si conclude con l'assicurazione del perdono divino. Il cuore ha esperimentato il perdono e diventa capace di conoscere il Signore.


GIOVANNI 12, 20-33

Il Vangelo che leggiamo oggi è preso da Giovanni, è molto ricco di significati e di spunti. Cerchiamo di chiarire alcuni termini e rimanere nel verificare chi è Dio per noi, in verità, nella vita di tutti i giorni, non solo in teoria! Chiediamoci continuamente nella giornata in che Dio crediamo e cosa intendiamo per conoscenza di Dio; non parliamo di qualcuno, ma a qualcuno! Un termine che prendiamo in considerazione è "gloria". Cosa significa? In ebraico significa "peso".

Ma prendiamo il testo. Alcuni greci vogliono "vedere" Gesù, che significa vogliono "prendere contatto" con Gesù. I discepoli avranno pensato: "Ora Gesù diventerà celebre anche in Grecia, la civiltà più raffinata dell'epoca!" Se noi diamo al termine gloria il senso comune della nostra lingua, alla risposta di Gesù:"E' venuta l'ora in cui il figlio dell'uomo sarà glorificato"- potremmo dire: è venuta l'ora in cui il figlio dell'uomo rivelerà la sua grandezza e tutti gli uomini lo applaudiranno! Invece Gesù dice: "In verità, in verità, vi dico: se il granello di frumento non muore, resta infecondo. Se invece muore porta frutto. Chi mi vuol seguire mi segua- anche tra gli assalitori! L'ora della glorificazione per Gesù è un'ora di terribile spavento: "Ora l'anima mia è inquieta (come le acque agitate), eppure sono venuto per quest'ora. Padre glorifica il tuo nome. "Una voce viene dal cielo:"L'ho glorificato e ancora lo glorificherò!""Questa voce è venuta per voi! Adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. Ed io quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me!" Dio si rivela come un amante appassionato dell'uomo e non ha pace fintanto che l'uomo non l'abbia ritrovato ed Egli si sia comunicato a lui. Colui che è la sorgente della vita, ritrova la vita attraverso la morte. Non è il nostro cuore inquieto per Dio, ma è Dio che è presente in noi a renderci il cuore inquieto.

Nel nostro significato di "gloria" Dio è padrone e l'uomo è schiavo. L'uomo invece è reso capace di poter imitare Dio in questo amore assoluto e sconfinato! Dio è amore che discende e noi siamo creature per "sostenere", entro i piccoli confini della nostra esistenza, questa gloria del Signore! (Sostenere il peso) Noi come abbiamo già detto altre volte ci facciamo un Dio a nostra immagine: dominatore-suddito, in cui l'uomo è prono; invece Dio è un Liberatore che muore perché l'uomo abbia la vita, un Dio-amore, che si è donato all'uomo fino alla morte.

E' un cammino lungo perché l'esperienza nostra dell'amore è di una realtà che ci affascina, ma che sovente è sconfitto. L'uomo non può obbligare gli altri ad amarlo. Deve amare lui sino in fondo. E gli altri alla sua luce vedranno e saranno portati verso lo splendore della verità stessa. Nel cristiano il rilucere dell'amore di Dio rivela la stessa natura di Dio, come la bellezza del fiore rivela la gloria del sole!

Poi c'è il grido di Gesù: "Ora l'anima mia è turbata: cosa devo fare? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome." L'uomo-Dio è tentato di disperazione, e anche lui, proprio perché tale, ora deve passare nel tunnel dell'abbandono e della morte, prima di essere esaudito per la sua fedeltà e ricevere da Dio il nome che è sopra ogni altro nome. Ma solo quando sarà innalzato dalla terra, trarrà tutto a lui!

Qui si vede l'insospettata profondità dell'amore, la sua forza di dedizione, la sua gratuità, ma anche la sua scandalosa debolezza. Il Crocifisso è l'icona di un amore mostrato e rifiutato. Ma il Crocifisso è innalzato, vittorioso, risorto: dunque la debolezza dell'amore è in realtà la sua forza. Sulla Croce la morte è vinta per sempre.


Occorre un lungo cammino, come può essere lunga e faticosa una gestazione. Le parole sono state dette, ai greci, ma a chiunque voglia prendere contatto con l'amore, a chi vuole sapere chi è Gesù, racconta l'evento della Croce, la parabola del chicco di grano. I segni sono compiuti, occorre solo decidersi e camminare in questa direzione!