Omelia (11-03-2018)
fr. Massimo Rossi
Commento su Giovanni 3,14-21

Maledetto senso di colpa!!
La pagina tratta dal libro delle Cronache, rilegge e interpreta in chiave religiosa la deportazione degli Israeliti a Babilonia: l'infedeltà reiterata del popolo di Dio ha attirato la rovina su Gerusalemme; il Tempio è stato contaminato dai figli di Dio, prima che dai loro nemici politici...
In ultima analisi, l'esilio lontano dalla città di Davide avrebbe dovuto servire di lezione, una lezione impartita da Dio in persona, il quale si servì, appunto, dei Babilonesi.
Settant'anni dopo, l'Onnipotente si sarebbe nuovamente servito dei nemici di Israele, nella persona del loro re, di Ciro, per avviare il processo di liberazione dalla schiavitù e il ritorno a casa.
Piccolo problema: il Signore, quello vero, ste cose non le fa!
Attribuire a Dio l'ira funesta è un'operazione tutta umana, una proiezione su Dio dei nostri modi di reagire al male che riceviamo. E dal momento che noi ci inc... pardon, ci arrabbiamo quando qualcuno ci offende - ma non sarà che siamo un po' suscettibili, permalosi, etc. etc.? -, allora immaginiamo che anche Dio si offenda per il male che commettono i suoi figli.
Temo, anzi sono convinto, che molti buoni cristiani, turbati, offesi dal male che vedono perpetrarsi nel mondo, rinuncino a far giustizia, nella speranza - convinzione certa? - che Dio, almeno Lui, nel giorno del giudizio finale, farà piazza pulita di tutti i criminali, di tutti i violenti, e vendicherà finalmente le ingiustizie con una pena esemplare. Se le cose stanno così, questi buoni cristiani dovrebbero venire al microfono e spiegarci a cosa è servita la passione di Cristo...
Ma torniamo all'ira di Dio.
Noi sappiamo parlare dell'ira dell'uomo, la conosciamo bene: chiamatela ira, chiamatela rabbia, o collera, credo di non esagerare se dico che questo vizio è uno dei più diffusi, se non addirittura il più diffuso - dagli attentati terroristici di marca integralista, agli episodi sempre più frequenti di femminicidio -.
Ma dell'ira di Dio non sappiamo praticamente nulla.
Sull'ira di Dio, è stato scritto tutto e il contrario di tutto. Pensate, qualche teologo ha definito l'ira divina niente meno che l'Amore infinito di Dio, talmente forte da bruciare tutto ciò che gli si oppone, come le scorie dell'oro si bruciano nel crogiuolo...
Anche san Paolo si interrogò ripetutamente sull'ira di Dio e ne scrisse in diverse occasioni: ai cristiani di Tessalonica, ai Romani, agli Efesini,...: in sintesi, l'apostolo dei pagani dichiara che, con l'avvento di Cristo, qualcosa è radicalmente mutato: non è più l'osservanza della Legge a liberarci dall'ira ventura (Mt 3,7), ma è Gesù (1Ts 1,10). Dio, che non ci ha riservati per la sua ira, ma per la salvezza (1Ts 5,9), ci assicura che siamo giustificati nella persona del Figlio e dunque salvati dall'ira (Rm 5,9): è la fede che fa di noi dei salvati (1Cor 1,18).
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato, affinché noi diventassimo giustizia di Dio (2Cor 5,21): innalzato sulla croce, il Figlio di Dio è diventato per noi maledizione, per darci la benedizione (Gal 3,13). Paradossalmente l'ira di Dio si è abbattuta sul Figlio - una sorta di parafulmine... -, affinché tutti noi fossi liberati dalla stessa ira.


Come potete intuire, anche san Paolo confessa il suo intimo tormento: consapevole di meritare bensì la punizione divina a causa del (suo) peccato, questa punizione è stata tuttavia neutralizzata, dissolta nel fuoco della passione fiammeggiante della croce di Cristo, come la chiama uno dei più suggestivi e visionari teologi del ‘900, H.U.von Balthasar.
E per sgomberare ulteriormente il campo dalle convinzioni umane-troppo-umane sul castigo di Dio, ecco lo splendido affresco del Vangelo di Giovanni sull'amore misericordioso del Padre: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in Lui non è condannato...".
Già, chi ha creduto in Lui? chi crede in Lui?
Noi, che ogni domenica celebriamo la Pasqua del Signore, crediamo davvero in Lui?
A Nicodemo, esponente del Sinedrio, venuto ad incontrare Gesù, ma di nascosto, col favore delle tenebre, per non urtare la suscettibilità delle autorità religiose e dei capi del popolo, il Maestro di Nazareth dichiara senza mezzi termini: "La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce...". Ecco la risposta del Figlio di Dio al quesito se gli uomini hanno creduto, se gli uomini credono in Lui.
Non illudiamoci che i tempi siano cambiati e che gli uomini di oggi siano migliori di quelli di venti secoli fa. Ho paura di pensare da quale parte mi sarei schierato, se fossi vissuto quando il Nazareno camminava sulle nostre strade...
Comunque sia, la grande idea che ci portiamo a casa oggi, idea straordinariamente nuova e rivoluzionaria, è che tra i tanti problemi, tra i tanti nemici che abbiamo, Dio non c'è, non è tra quelli! Dio è dalla nostra parte, sempre! ma non per assecondare a priori i nostri comportamenti, soprattutto quelli violenti, che offendono il nostro prossimo, financo a provocarne la morte.
Mi preme puntualizzarlo, perché in un passato non remoto, qualcuno aveva osato scrivere sulle fiancate degli aerei da caccia: "Gott mit uns", Dio è con noi...
Non trascuriamo la conclusione del Vangelo di oggi: "Chi fa la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.".
Cosa significhi fare la verità per venire alla luce, è tutto da vedere.
...Ma sono convinto che lo sappiamo. Interroghiamo la nostra coscienza...e lei ci risponderà.