Omelia (18-03-2018) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La croce vera forza Alcuni Greci vogliono incontrare Gesù. Da come Giovanni pone la questione, la richiesta di udienza che avanzano costoro dev'essere davvero eccezionale, straordinaria. Primo interlocutore è Filippo, che in primo luogo informa Andrea ed entrambi a loro volta mettono al corrente il Signore che alcuni sconosciuti, provenienti da un mondo estraneo al loro, vogliono conferire con lui. Come si sa, il mondo ellenistico antico era quello dei politeisti oppure quello dei sapienti, dei filosofi e degli intellettuali. Un mondo quindi pagano, ben differente da quello a cui sono abituati i Giudei e i discepoli di Gesù. Gli studiosi ritengono che questi Greci che aspirano a parlare con Gesù siano persone pagane di differenti provenienze che erano approdati alla fede nel Dio d'Israele. Del resto non si spiegherebbe in altri modi come dei razionalisti vogliano incontrare Gesù. I "Greci", cioè i pagani convertiti, vogliono comprendere probabilmente il mistero del Dio che adesso hanno conosciuto nella persona del suo Verbo. Immergersi nella realtà del Dio infinito e onnipotente prendendone visione attraverso la persona di Gesù di Nazareth. Ma come è possibile comprendere appieno il mistero di Cristo? Con quali espedienti si può giungere alla conquista della verità che ci fa liberi, della via, della verità e della vita, quale Gesù ha affermato di essere? In parole povere, come possono questi pagani neoconvertiti comprendere la verità su Gesù Cristo? Essa non è un argomento astratto e non consiste in una digressione raffinata di sapienza intellettuale. Nemmeno la si deve cercare i un avvenimento straordinario o in un fatte eclatante fra i molti che si verificano, quali una guarigione o un miracolo. Gesù, rispondendo a Filippo e ad Andrea, ci illustra che la Verità del suo essere Figlio di Dio si concentra tutta in un solo Evento: la morte e la resurrezione, che saranno l'unico argomento convincente in tal senso. In questo avvenimento che si realizzerà di lì a poco, si rivelerà infatti "l'ora dell'amore", nella quale il Figlio dell'uomo verrà consegnato per mani di empi per essere ucciso, ma risusciterà glorioso e invitto. Non c'è argomento più convincente di questo a spiegare il fascino della fede nel Dio onnipotente: l'amore di questo stesso Dio che si evince semplicemente nello sgorgare del suo sangue sulla croce per la redenzione di tutti. L'amore sacrificale supera la sottigliezza dei ragionamenti filosofici e il vano cercare attorno ad obiettivi sbagliati. L'argomento parabolico che Gesù ci propone è alquanto illuminante: un chicco di grano di per sé è insignificante soprattutto quando sia considerato fuori da ogni riferimento di agricoltura. Perché possa mostrare tutta la sua utilità deve necessariamente immergersi nelle oscurità di un palmo di terra e restarvi seppellito. Solo allora, quando viene seminato sul terreno, acquista tutta la sua valenza ed efficacia: muore, cioè scompare nella sua identità, per moltiplicarsi e apportare frutto. Cristo è come il chicco di grano che annienterà se stesso nelle oscurità del sepolcro per apportare copiosi frutti di salvezza nella resurrezione. Si è umiliato, si è disperso fra le oscurità e le nequizie, per poter riemergere apportatore di salvezza. Chi si conforma a Cristo non può non configurarsi a un chicco di grano. Anche da parte nostra è indispensabile che annientiamo umilmente noi stessi, che accettiamo pazientemente di tralasciare spregiudicate pretese di grandezza, che rinunciamo perfino alla nostra volontà, per assumere quella di Cristo e così nel suo nome trovarci ad essere frugiferi. Il cristiano è un chicco di grano, cioè qualcosa di veramente strabiliante, forte di tantissime risorse e di grandi contenuti. Potenzialmente può operare prodigi, ma fin quando non perde la propria identità nella deferenza e nella sottomissione, fin quando non "muore a se stesso", sarà sempre un soprammobile che ostenta se stesso. Proprio in questo configurarci con il chicco di grano risiede il binomio irrinunciabile morte - risurrezione. Croce e risurrezione, senza l'una escluda l'altra, ci mostrano il vero Dio e ci immettono nella verità e nella salvezza. E tale prospettiva di croce come massima espressione dell'amore non può non diventare nostra dimensione di vita, luogo nel quale ci riconosciamo tutti radunati ed elevati dall'unico Dio che per l'appunto nella sua croce riunisce tutti i popoli. Si tratta di configurarci al mistero, non di speculare su di esso. Diceva Bonhoeffer: "La Croce non ci fu data per capirla, ma perché ci aggrappassimo ad essa". Soggiunge Victor Ugo che "la croce è folle; da ciò la sua gloria", rilevando che proprio i ciò che comunemente viene deprezzato e ritenuto assurdo si riscontra la vera potenza di Dio e al contempo la vera realizzazione dell'uomo. Se la mentalità odierna rifugge anche la sola idea del sacrificio e della rinuncia nella minime forme, ridicolizzando quindi la prospettiva dell'umiliazione estrema e dell'annientamento, nell'esperienza di Cristo si palesa che la vera sapienza consiste in realtà nella croce, cioè nel compendio di tutte le umiliazioni. Se nella nostra dimensione epocale la religione cristiana è stata tacciata di culto del dolore e della sofferenza, la risposta della croce di Cristo è il fatto che proprio la sofferenza è capace di garantire la gioia duratura e che tutto ciò che è vera aspirazione dell'uomo, cioè il successo, la gloria e la grandezza hanno slancio appunto da quella condizione irrinunciabile di sottomissione e di patimento che è la croce. Nella nostra vita non è possibile raggiungere immediatamente ciò che affascina o che rallegra e la stessa esperienza ci ragguaglia che frustrazioni e fallimenti sono le tappe irrinunciabili del successo anche mondano. La croce rispetta insomma tutte le condizioni della vita. Il profeta Geremia, anch'egli aggiogato a persecuzioni e inimicizie per aver annunciato senza mezzi termini la verità, ci ragguaglia che la vera relazione con Dio non si fonda su una legge scritta o depositata su statuti e prescrizioni, quanto piuttosto su imperativi di interiorità impressi nel cuore e animati dalla singola volontà di amore dell'uomo. Siffatto amore non può non trasfigurarsi nell'umiliazione necessaria della croce. |