Commento su Giovanni 12,20-33
Siamo ormai prossimi alla passione del Signore e dal testo odierno prendiamo 2 spunti: chi è Dio e qual è il suo (e quindi nostro) stile di vita.
1. Gesù è "diventato famoso"; una discreta folla lo ha appena osannato all'ingresso di Gerusalemme e i greci lo vogliono vedere e chiedono di lui; i discepoli corrono ad avvisarlo: guarda, tutti ti cercano, vieni! Ma a Gesù non interessa la "visibilità", l'audience, o che ci siano molti "like" sul suo profilo, perciò risponde: è venuta l'ora che il figlio dell'uomo sia glorificato: e la sua gloria, fa capire, la vedrete nel suo essere innalzato da terra, cioè sulla croce. Che significa? In ebraico gloria, Kabod, significa peso, valore specifico; dunque, noi capiamo "chi è davvero Dio", quanto è il suo "valore", il suo "peso specifico" non nei miracoli, nemmeno nella meravigliosa creazione, ma nel suo dare la vita per noi, fedele alla volontà del Padre fin sulla croce. È sulla croce si rivela in pienezza chi è Dio: amore! Amore fedele, totale, non astratto, ma concreto e personale: sì, è amore per te, che si dona fino in fondo per te anche quando lo rifiuti, lo dimentichi, lo metti alla porta, scegliendo senza tener conto della sua Parola. Sì, perché l'amore è il dono di sé, è il sacrificarsi per il bene dell'altro, in modo concreto, non solo a parole, come a volte facciamo noi; un po' come quel fidanzato che scrisse all'innamorata: ti amo, per te darei la vita, ci vediamo domani, se non piove! No, Dio non fa questo e comunicandoci il suo amore ci libera perché, coltivando la relazione con lui (nella preghiera, nei sacramenti, meditando la sua Parola), diventiamo capaci di amare come lui. Quanti passano la vita elemosinando affetto, cercando il proprio valore nell'esteriorità, nei vestiti di marca, nelle capacità, nella bellezza, nel giudizio degli altri; oggi siamo invitati ad alzare lo sguardo e ad aprire il cuore e dire con S. Paolo: Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me! (Gal 2,20).
2. Se il chicco caduto in terra non muore, resta solo; se muore, porta molto frutto. In semplicità: se uno non muore a se stesso, cioè se non si dona, resta solo; viceversa, porta frutto ora e per sempre. La vita ha una "logica interna": è un dono che va donato. Tanti purtroppo sognano il loro futuro unicamente in termini di successo personale e guadagno economico, o riducono il loro lavoro a fonte di lucro, perdendo la dimensione più bella: l'essere utili agli altri. Se non entro e vivo in questa prospettiva, fallirò; se studio solo per il voto, ma non per imparare qualcosa e poter essere utile agli altri, prenderò anche tutti 30 che mi faranno sentir bravo, gonfiandomi l'ego, ma nulla più; se lavoro solo per i soldi, potrò anche essere un professionista, ma tutto passerà con me; se non ho mai tempo per gli altri (dal parente anziano, al genitore, all'amico bisognoso, al povero di strada), o se sono amico solo finché l'altro mi dà ragione, o se sto con una persona solo finché "mi va", alla fine resterò solo.
Amare è una cosa seria! Per questo Gesù dice: chi ama la sua vita la perde e chi la odia in questo mondo (in un altro vangelo dice: la perde per causa mia), la conserverà per la vita eterna (Mt 16,25). Cioè: se uno la vita la vive solo per sé, marcisce, se la dona, fidandosi di Gesù e delle sue parole, fiorisce. Pensiamo a Madre Teresa: non era di certo bella, ricca, eppure, quando passava si fermavano persino i capi di Stato: perché? Perché "amava da Dio!". Chi vive per se stesso, scegliendo solo in base a ciò che gli piace, a ciò che gli va, a ciò che non gli costa sacrificio o gli dà un tornaconto; beh, alla fine rimarrà a mani vuote. Invece chi si dona, fidandosi del Signore e delle parole del Vangelo, alla fine raccoglierà molto, se non in questa vita, certo nell'eternità.
In conclusione, imparare ad amare non è un optional, ma è questione di vita o di morte; possiamo fare o dire cose meravigliose, ma se non usciamo dalla nostra autoreferenzialità, tutto si spegnerà e morirà con noi. Chi non ama è un morto che cammina e chi non vive per servire, non serve per vivere (papa Francesco). È chiaro, la fede è un cammino e in certi momenti dire di sì alla volontà di Dio non è semplice; davanti ai problemi in famiglia, al tradimento di un amico, a una malattia che sembra troncare i sogni futuri, davanti a un progetto che sembra non realizzarsi mai o in modo diverso dalle attese, o davanti al limite di chi ci sta accanto siamo fortemente tentati di lasciar perdere sia la preghiera che la carità, annegando nel divertimento il dispiacere o lasciandoci andare alla tristezza, all'indifferenza o alla rabbia.
Anche Gesù ha avvertito tutto il peso di quel che doveva affrontare: la sua anima era turbata, ma ha vinto la tentazione di pensare a se stesso e a "salvarsi la pelle" per salvare noi, unicamente interessato a dar gloria al Padre. In questa Quaresima anche noi possiamo dire: Padre glorifica il tuo nome (Gv 12,28), cioè: fai vedere chi sei attraverso di me.
Se non impariamo a fidarci di Lui nelle scelte quotidiane di vita, questa Pasqua ci servirà a poco. Che il Signore ci aiuti a fare Pasqua, passando dal nostro io a Dio, dal pensare a noi al donarci generosamente agli altri, ricordandoci che non siamo nati solo per salvarci la vita, vivendo per noi stessi, ma per lasciarci guidare alla vita eterna, diventando strumenti per la salvezza degli altri, memori della grandiosa promessa del Signore: Se uno mi vuol servire mi segua, cioè mi imiti, e dove sono io sarà anche il mio servitore... e il Padre lo onorerà!