Omelia (18-03-2018)
don Alberto Brignoli
Innalzato da terra

Quanti chilometri in macchina, in autobus o in aereo siamo disposti a macinare, per andare a vedere un'importante partita della nostra squadra del cuore? Quanto tempo siamo disposti a stare in fila, in attesa che aprano i cancelli di uno stadio o di un palasport per vedere il nostro cantante preferito esibirsi in un concerto? Quante energie e quanti soldi siamo disposti a investire, per andare a vedere bellezze artistiche e naturali del nostro paese o di altre parti del mondo? Ognuno ha la propria risposta: a me oggi importa soffermarmi sull'elemento comune a questi interrogativi, ovvero il "vedere". Tutti noi amiamo "vedere" di persona qualcosa di bello o qualcuno di importante; in generale, "vedere" è una cosa bellissima, e ne sa qualcosa chi, purtroppo, il dono della vista non ce l'ha mai avuto, e ancor peggio chi l'ha perso.
Oggi "vedere" è una dimensione fondamentale anche nella comunicazione: non si può più comunicare con qualcuno, parlare con qualcuno, essere in contatto con qualcuno, senza avere sott'occhio una sua immagine, oppure senza vedere dove si trova in quel momento, o ancora senza vedere di persona ciò di cui ci sta parlando. Basti pensare al boom economico generato nelle tasche degli inventori di quelle piattaforme basate sui social network che oggi invadono il nostro vivere quotidiano: gli ideatori e proprietari di quelle piattaforme su cui ogni giorno "postiamo" fotografie e video sono diventati gli uomini più ricchi del pianeta, e non è difficile da immaginare, dal momento che solo in Italia ogni giorno vengono inviate tramite cellulari, computer e tablet oltre 5 milioni tra fotografie e video. E ognuna di esse fa entrare nelle tasche dei signori dei social "solamente" 10 centesimi di euro: un'inezia...finché non la moltiplichiamo per il numero di cui sopra... Quanto si spende per vedere, per far vedere, e per farsi vedere! E quanto si è disposti a spendere anche per "voler" vedere, come nelle situazioni che abbiamo citato all'inizio!
Certo, ci fossero stati WhatsApp, Facebook, Instagram, LinkedIn, You Tube, Twitter - e chi più ne ha più ne metta - anche ai tempi di Gesù, sarebbe stato molto più semplice per tutti vederlo, sapere di lui, conoscere il suo pensiero, così come apprezzare i suoi post e mettergli un "like" ogni volta che pronunciava una parabola di quelle in cui andava giù duro, o quando compiva qualche miracolo di quelli tosti... Chissà se lui stesso sarebbe caduto nella tentazione della visibilità e della fama, pur di fare conoscere il proprio messaggio... Con il giro di affari che c'è dietro a tutto questo, io lo dubito fortemente.
Ma lo dubito anche per un altro motivo: perché credo che, in fondo, della visibilità e della fama a Gesù importasse veramente poco. C'erano altri modi perché lui fosse visto, e non solo dai greci che erano venuti a Gerusalemme come turisti per la Pasqua e quindi lo consideravano un po' un'attrattiva del momento, ma "da tutti". Gesù sapeva benissimo come fare per poter essere visto da tutti, perché tutti fossero affascinati da lui, perché le folle venissero "attratte" da lui.
Come? Con i miracoli? Non credo, dal momento che parecchi - soprattutto tra le autorità religiose del tempo - ne mettevano in dubbio la bontà, perché spesso Gesù guariva illegalmente, ovvero in giorno di sabato, proibito dalla legislazione di Mosè. Come, allora? Con la predicazione? A volte, forse, poteva essere così: ma spesso - e nel vangelo di Giovanni in modo particolare - si è vista gente andarsene dopo alcuni suoi discorsi particolarmente difficili da comprendere. Addirittura, un giorno giunse al punto di chiedere ai suoi discepoli se volessero per caso andarsene pure loro. Né miracoli né parabole né predicazione furono metodi efficaci perché Gesù potesse attirare tutti quanti a sé. Occorreva qualcos'altro. Qualcosa che tutti potessero vedere. Qualcosa che tutti potessero ricordare. Qualcosa di talmente impattante e incisivo di fronte al quale non si poteva fare a finta di non vedere. Probabilmente, sarebbe stato qualcosa di estremo; probabilmente, sarebbe stata una cosa che non avrebbe fatto piacere ai più, soprattutto ai suoi amici; probabilmente, sarebbe stato qualcosa che avrebbe mandato in crisi chi pensava che Gesù sarebbe stato eterno, immortale, invincibile. Ma Gesù sapeva bene che non era così. Gesù sapeva bene che l'unico eterno era Dio, suo padre, e che non si poteva non fare i conti con lui, per aver visibilità e credibilità. Gesù sapeva bene che la vita, ogni vita, per fiorire, per dare frutto, deve sacrificarsi, a volte con gesti estremi e definitivi.
E questo lo sanno bene tutti coloro che sanno cos'è la fatica e il sacrificio, e che di sicuro hanno poco tempo per "postare" i propri video e le proprie foto a ogni piè sospinto. Lo sa bene un muratore, che una casa non si costruisce senza fatica; lo sa bene uno studente, che una laurea non si ottiene senza un bel po' di notti insonni; lo sa bene una madre, che non si partorisce senza dolore; lo sa bene un operaio, che portare a casa pane per i propri figli comporta rinunce e sacrifici. Lo sa bene anche un ramo, che per vedersi pieno di fiori a primavera deve lasciarsi squarciare da ogni singola gemma che germoglia; lo sa bene anche un chicco di grano, che per produrre molto frutto, deve cadere in terra e lasciarsi morire.
Chiunque sa cos'è la vita reale, e non quella fittizia o ideale che corre sulle piattaforme virtuali, sa bene che tutte queste fatiche e questi sacrifici, cristianamente parlando, hanno un nome: la Croce.
E guarda caso, è proprio quello che Gesù ha scelto per attirare tutti a sé.