Omelia (25-03-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Umiltà e umiliazione

Come tutti gli anni, il brano evangelico di questa Domenica è particolarmente articolato e lungo.
Ci invita a riflettere non su un solo argomento o su un tema, ma su una serie di eventi che effettivamente potrebbero commentarsi da soli. Il primo è un evento di gloria e di esultanza che interessa Gesù, mentre incede lungo la via d'ingresso a Gerusalemme. Poco prima di entrare nella città santa, aveva inviato i discepoli in un villaggio a prendere una cavalcatura che era stata legata accanto a una porta sulla strada: un puledro, animale umilissimo sul quale non sarebbe certo salito un imperatore o un personaggio facoltoso, che avrebbe invece preferito un cavallo. Gesù invece vi sale per primo (nessuno vi era ancora salito) dopo avervi fatto disporre in groppa due mantelli e procede diretto verso Gerusalemme. Il puledro è simbolo di semplicità, deferenza e umiltà. Gesù vi monta sopra realizzando la profezia di Zaccaria: "Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. "(Zc 9, 9). I mantelli, già presenti nella Bibbia ad indicare approvazione e scelta deliberata, risposta a una vocazione o a un impegno, rappresentano appunto la scelta del Messia salvatore di prediligere l'umiltà e la semplicità. Gesù fa ingresso in città senza pretendere troppo clamore e senza ostentare la sua persona: entra per l'appunto cavalcando un umilissimo animale da soma e percorre le vie della città fino al centro. Ciò nonostante la folla lo acclama al suo passare, lo esalta e gli fa ressa tutt'intorno preconizzando in lui il Re. Chi rifugge la vanagloria e la millanteria godrà sempre la conseguenza di un'acclamazione inaspettata e chi non va dietro al successo effimero e al falso onore otterrà prima o poi il plauso e la gloria. Se il sistema (specialmente ai nostri giorni) lesina nel premiare i meriti di ciascuno e non attribuisce adeguate ricompense proporzionate all'onestà e al bene esternato, la vita al contrario forse ci fa penare e attendere, probabilmente ci chiama a particolare sacrificio di pazienza, ma alla fine concede che ciascuno raccolga i propri, meritati, frutti. Se poi la vita si svolge secondo Dio, lo stesso Signore concede ricompense equiparate alla fedeltà. Cosicché Gesù adesso mentre prosegue servendosi di questa umilissima cavalcatura, riceve il plauso e gli onori di chi gli sta tutt'intorno. Vivendo così un saggio della gloria futura che otterrà definitivamente una volta risorto.
L'attimo presente infatti è destinato a cessare inesorabilmente: a Gerusalemme lo attende la condanna a morte che Marco descrive con particolare vivacità nei dettagli, marcando anche le ore in cui si consuma l'agonia che precede la morte sulla croce e prima ancora delineando ogni passaggio di quella che viene definita, a ragione, la passione di Gesù.
Ciascuno di questi particolari eventi sarà inquadrato e focalizzato nel corso delle giornate che seguiranno, in ogni celebrazione liturgica che ci farà vivere con Gesù quello che nella forma peculiare lo riguarderà: il commiato dai suoi, l'arresto, il processo e la condanna, la permanenza nel sepolcro e finalmente la risurrezione. Adesso ci viene presentato un compendio allusivo della scelta consapevole di umiltà che in Gesù Cristo si trasforma in umiliazione; la deliberazione di Gesù di restare sottomesso sin dall'inizio alla volontà del Padre si concretizza nella volontà di sottomettersi di conseguenza al tremendo volere degli uomini, nella sofferta scelta di patire anziché reagire e di morire anziché avvalersi della sua magnificenza per imporsi. Preferisce straziare sei ore sulla croce senza possibilità di cambiare posizione, squarciando le membra sul legno, soffrendo la sete senza il conforto morale di coloro che assistono alla scena. Patire il dolore è già di per se abominevole, ma diventa ancora più atroce quando i patimenti avvengono nella solitudine e nell'abbandono. senza la vicinanza di qualcuno che grida coraggio. Unica consolazione di cui Gesù può disporre è la presenza della madre, del discepolo che ama e di altre donne, che però non sono sufficienti a compensare gli schernimenti altrui.
La scelta dell'umiltà che prende forma di umiliazione è decisiva perché sulla croce si possa realizzare il nostro riscatto: se Gesù non avesse ottemperato al volere del Padre di immolarsi sulla croce dopo patimenti, insulti e feroci dileggiamenti., probabilmente avrebbe fatto ricorso alla coercizione per costringerci in senso giusto quanto al peccato. Ma non avrebbe pagato per noi le pene di tutti i nostri peccati, non si sarebbe addossato per nostro riscatto il gravame delle nostre colpe. La deferenza di Gesù è altresì necessaria perché noi si possa prendere coscienza una volta per tutte che la gloria è impensabile senza la tappa della sofferenza e dell'umiliazione e pertanto la croce è tappa obbligatoria per la risurrezione. Occorre accettare di patire e di fallire spesso per ottenere il successo una volta soltanto; è imprescindibile superare gli ostacoli che ci si pongono innanzi per arrivare a tagliare il filo di lana; è irrinunciabile lottare e perseverare a volte subendo percosse per raggiungere la vetta dell'ideale che ci siamo prefissati. Tutto questo è sinonimo di croce e di resurrezione. Come si è detto la ricompensa è gradevole ed esaltante quando è inaspettata e nell'umiltà occorre di fatto solo aspettare, lasciando che Dio rispetti i suoi tempi ben diversi dai nostri.