Omelia (25-03-2018)
Carla Sprinzeles
Commento su Isaia 50,4-7; Mc 14,1-15,47

Inizia la Settimana Santa. Volevo proporvi di percorrere le letture di oggi e per chi può vivere questa settimana insieme alla liturgia, come una nostra verità. Guardiamo a Gesù, a Isaia, non come degli estranei di cui veniamo a conoscere la storia, ma come un fatto che succede oggi.

Mi spiego: immaginate un uomo che abbia come sua unica legge l'amore per gli altri, un amore disposto fino al totale dono di sé. Fate camminare quest'uomo dove volete: in un mercato, in una banca, a casa vostra...Fatelo parlare, mettetelo a confronto con le figure che rappresentano le istituzioni. Cosa avverrebbe? Avverrebbe che quest'uomo sarebbe, con una solidarietà immancabile, espulso da tutti, cacciato via. Direbbero: "Questo è pazzo!" "Quest'uomo bestemmia!" Quest'uomo non potrebbe rientrare nei modi di vivere e di comprendere la vita, che sono i nostri! Sarebbe un estraneo e troverebbe accoglienza solo tra i disperati, che non essendo integrati nella società, hanno una sincera disponibilità al nuovo. In questi mancano sovente le strutture di giudizio e accettano quello che è irregolare rispetto all'istituzione.

Questo uomo ipotetico è Gesù. Il Gesù, di cui invece abbiamo l'immagine è un "passe-partout" che serve per tutto.

Il miracolo è un mondo animato dall'amore: questo è il regno di Dio, in cui vivere e morire è un gesto di amore per gli altri! Quindi conoscere Gesù è un sapere per vivere, un sapere che ci mette in gioco. Lasciamoci mettere in gioco per essere veri!


ISAIA 50, 4-7

La prima lettura è tratta da Isaia al cap. 50. E' un discepolo del primo Isaia, che vive nel periodo dell'esilio a Babilonia e nonostante viva esiliato, disprezzato, umiliato, spera in Jhwh. Poco prima di questo passo, nel cap. 49, Jhwh è paragonato a una madre. Dio si occupa di Israele come una madre dei suoi figli.

La liberazione del popolo esiliato è rappresentato come una nuova nascita e Jhwh è paragonato a una donna che soffre i dolori del parto. Troviamo il passaggio da un Dio onnipotente, guerriero, a un Dio materno che soffre, si potrebbe dire "che entra in travaglio" per il suo popolo.

Il passo che leggeremo è il terzo carme del Servo del Signore. L'autore descrive se stesso. "Servo" richiama l'appartenenza di un uomo al suo padrone. Il padrone "forava" l'orecchio di colui che si impegnava a diventare suo dipendente per tutta la vita.

E' solo da questa relazione di appartenenza intima, mutua e profonda tra il servo/discepolo e il Signore, che può scaturire la forza per indirizzare una parola allo sfiduciato, cioè a colui che è gravemente provato dalla vita per tragedie gravi e malattie varie. In tali situazioni non ci può essere sapienza capace di dare conforto, se non la Sapienza di Dio.

La missione del Servo non è compresa e allora questa appartenenza al Signore genera sofferenze su tutta la persona. In tutto questo il Servo reagisce con un'incrollabile fermezza di fronte agli insulti più gravi e dolorosi. "Ho presentato il mio dorso ai flagellatori". Queste percosse sulla schiena erano riservate agli stolti e alle bestie. Ma il Servo reagisce con una straordinaria mitezza, non reagisce, non minaccia, non maledice. Il segreto della sua forza è il fatto che conta sull'assistenza del Signore e che è certo che il Signore non lo abbandonerà: "Il Signore Dio mi assiste, per questo non vengo svergognato".

Umanamente si potrebbe pensare che l'assistenza del Signore si manifesti nel risparmiare al proprio servo le prove più dure, ma non è questa la logica di Dio.

Il soccorso divino è tanto più vero, quanto più si riceve il coraggio per attraversare anche le situazioni più difficili senza mai vacillare nella fiducia. Il nostro compito è stare svegli e farsi aprire l'orecchio e la bocca da Dio, sapendo che la nostra speranza, l'amore del Signore sono più forti del male che ci circonda.


LETTURA PASSIONE SECONDO MARCO 14,1-15,47

Siamo giunti a leggere la passione di Gesù, ma come abbiamo detto, non ascoltiamola con l'atteggiamento di pietà, che spesso non porta da nessuna parte.

Partiamo dal centurione romano, dinanzi alla morte di Gesù i discepoli erano fuggiti, Pietro non c'era, questo pagano, che vede morire un uomo non da disperato, dice:"Costui è veramente il figlio di Dio!"

Il segreto di Gesù, il segreto dell'universalità e della continuità del messaggio della sua Passione è in questa contraddizione, mentre lui muore, un pagano vede in lui il figlio di Dio!

Il fatto che un'esistenza possa essere plasmata solo dall'amore è un miracolo! Chiunque dona la sua vita per gli altri, è già con Dio. Il senso della vita è l'amore. Il Dio di Gesù è quello che il centurione vide, mentre un uomo insanguinato, agitato, perfino con l'ombra della disperazione -"Dio mio, perché mi hai abbandonato?"- spirò.

Noi dobbiamo sentirci fratelli e sorelle del centurione, l'unico che ci ha visto bene! Uno che era dalla parte dei crocifissori ha visto bene, ha intuito che il Figlio di Dio è l'Amore e che l'alternativa del regno che Egli annuncia è vivere e morire per amore degli altri!

Morire a 33 anni, abbandonato da chi lo seguiva da tempo, sconfitto, messo al bando, schernito, mentre aveva fatto solo del bene, che senso ha?

Da che parte sta Dio? Gesù sembra soccombere! Avrebbe potuto fare grandi cose! Perché la felicità non dura? Perché l'amore appassisce e l'entusiasmo si spegne? "E' bene per voi che me ne vada" aveva detto Gesù ai suoi; ma doveva avvenire così, lasciando tutti nello sgomento?

Sì, è buona la spaccatura che gli esseri umani rifiutano con tutta la loro energia, perché apre alla fiducia nell'altro, nella vita, in Dio. E' buona la sconfitta che rivela la vera ricchezza dell'esistenza. E' buona persino la morte che permette di entrare nella vita vera, di abbandonare i bagagli inutili che separano dagli altri.

Bisogna perdere la vita per ritrovarla. A volte ci si deve risvegliare dal sogno di essere onnipotenti e di lavorare per il bene dell'umanità.

La sconfitta può essere una breccia per entrare nella verità. L'unica necessità è fidarsi della vita, di Dio, che opera in ognuno di noi e in ogni evento.

Consegnandosi alla morte Gesù si consegna alla Vita, all'Amore, che nessuno può spegnere.

Si fida del Padre e non sarà deluso, perché risorgerà. Ma si fida anche dei suoi fratelli in umanità, di noi, perché pone nelle nostre mani il suo messaggio, ci dona persino il suo Spirito.

Chi sa morire, non cerca più, come Adamo, di colmare la ferita aperta nel suo costato, è entrato nel Regno della fiducia e della relazione dilatata a dimensioni cosmiche e divine.


Non ci sono più parole, ora dobbiamo fare i fatti.

Non importa affermare se stessi, non importa conseguire successi, non importa neppure portare avanti progetti di bene! Sì, perché potrebbero nascondere l'illusione di seguire Gesù e invece voler costruire un piccolo mio regno.

L'unica nostra preoccupazione è fidarsi della Vita, fidarsi di Dio e avere fiducia anche negli altri, perché in ognuno c'è lo Spirito di Dio. Credo che abbiamo molto da fare!!!! Non sbattendoci molto, ma fidandoci molto!

Buona settimana santa, diversa dalle altre e buona resurrezione nella fiducia.