Omelia (25-03-2018)
diac. Vito Calella
Oggi è il giorno dello sguardo

Oggi è il giorno dello sguardo, di uno sguardo che sa andare in profondità, sa andare oltre la cruda descrizione dei fatti. All' abbondanza di parole del racconto della passione di Gesù deve corrispondere l'abbondanza di silenzio, per far spazio allo sguardo del cuore, al vedere non soltanto con il nostro cuore, intriso di sentimenti di ammirazione, spavento, compassione, dolore; ma vedere con il cuore di Dio, chiedendo all'amore materno di Dio che è in noi, lo Spirito Santo, di accompagnarci nella contemplazione del mistero che ha cambiato il corso della storia umana, ha cambiato anche la nostra personale esistenza.
Con lo sguardo e il cuore di Dio, il nostro guardare quelle piaghe, quelle sofferenze fisiche e atroci del patibolo della croce, diventa un toccare con mano le piaghe aperte di tutte le sofferenze vissute sulla nostra pelle e di tutte quelle condivise, perché siamo stati accanto, fino in fondo, giorno dopo giorno, nell'accompagnare la malattia di una persona a noi cara, senza capirne il senso.
Ma siamo stati fedeli nel limite radicale della nostra povertà, non abbiamo mai abbandonato la persona amata, anche se la malattia ci allontanava sempre più, ci separava inesorabilmente: misteriosa opposizione tra unione e separazione, legame e distacco. Più era la separazione, dovuta alla precarietà di questo nostro tempio che è il corpo umano martoriato, più era l'unità nell'aridità di quel deserto di incomunicabilità, ma era pur sempre amore, e che amore!
«Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi»
Immedesimiamoci, con il nostro sguardo, in Maria, la madre. Il suo amare fu fedele fino in fondo anche nel dolore di non poter far nulla, di fronte al corpo trafitto del figlio.
Ma rimase fedele perché sentiva, solo col suo sguardo di fede, che Dio c''era, perché c'era amore tra lei e il figlio. Le parole del profeta aiutano a contemplare nell'aridità di quella separazione tra madre e figlio, il mistero della presenza divina, che non scompare perché non è svanito l'amore: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso. Per questo rendo la mia faccia come pietra, sapendo di non restare deluso»
Con lo sguardo e il cuore di Dio, il nostro guardare quella passione di Gesù ci fa andare oltre le piaghe del corpo, per contemplare la sfida radicale della consegna.
Il dolore fisico di Gesù si accompagna a quello psicologico, morale del sentirsi letteralmente consegnato come fosse un pacco di spedizione di Amazon, che passa di mano in mano, nella fredda catena delle pronte consegne degli uomini che toccano per usare, senza rispettare la dignità di ciò che è toccato da loro. Gesù si sentì consegnare dall'amico Giuda, che lo consegnò alle autorità giudaiche: Gesù scaricato dall'amico, il dolore profondo del tradimento dell'amico, mistero del suo «svuotare se stesso fino alla morte, e alla morte di croce».
Gesù si senti consegnato dai sommi sacerdoti, anziani, scribi e tutto il sinedrio nelle mani di Pilato, l'autorità imperiale. Gesù scaricato dai rappresentanti più autorevoli della religione del suo popolo, sentì l'amarezza del fallimento della sua missione, che aveva voluto mostrare la religione di un Dio misericordioso, e non di un Dio, che dipende dalle prestazioni umane e dai sacrifici per elargire le sue benedizioni. Gesù scaricato dalla religione del suo popolo, dalla religione della retribuzione, difficile da superare: mistero del suo «svuotare se stesso fino alla morte, e alla morte di croce».
Gesù si sentì consegnato da Pilato alla folla per essere crocifisso. È la consegna del potere politico che serve interessi egoistici di parte calpestando la giustizia e la dignità umana delle persone. Gesù scaricato dal potere politico, dall'egoismo umano, difficile da sconfiggere: mistero del suo «svuotare se stesso fino alla morte, e alla morte di croce».
E quando ormai, siamo sotto la croce, il nostro sguardo si volge a quel grido: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Il nostro sguardo ascolta il grido di Gesù.
Il nostro sguardo ascolta, nella confusione di quel momento drammatico, l'atto di fede del centurione romano. Ora il nostro sguardo va oltre le consegne degli uomini, va oltre lo svuotamento di Gesù, va oltre per contemplare la consegna del Padre a tutti noi, la consegna di Dio all'umanità, fatta una volta per sempre. L'atto di fede del centurione è l'apice del nostro sguardo.
Dalla mostruosità di quel patibolo, accogliamo la bellezza dell'amore di Dio che si consegna a noi e ci salva. Contempliamo questa misteriosa e profonda bellezza facendo nostre le parole di San Bernardo.
«Quanta bellezza aveva intuito colui che esclamò: "Davvero quest'uomo era il Figlio di Dio!"
Ma bisognava poterla vedere in ciò che egli vide.
Se infatti avesse badato a ciò che appariva, come avrebbe potuto vederne la bellezza;
e in che modo avrebbe potuto riconoscere il figlio di Dio?
Come poté dunque il centurione percepire la bellezza del Crocifisso?
Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare mentre gridava in quel modo, disse:
"Davvero quest'uomo è Figlio di Dio!".
L'udito ha percepito ciò che è sfuggito alla vista.
L'aspetto ha ingannato l'occhio, ma la verità è penetrata dall'orecchio.
L'occhio infatti lo percepiva debole, deforme, misero e condannato a una orribile morte,
ma l'orecchio ha riconosciuto in lui il Figlio di Dio e nel ha percepito la bellezza.»