Omelia (29-03-2018)
padre Gian Franco Scarpitta
Per amore, solo per amore

Ci si sente incoraggiati quando sente apprezzati e amati fino in fondo. Si sa benissimo che quando si è oggetto di considerazione, stima, attenzione da parte degli altri ci sentiamo incoraggiati a progredire su tutto e a moltiplicare le nostre risorse e i nostri talenti ad edificazione degli altri, perché sentirsi amati ci aiuta a non cadere nell'autocommiserazione e nel deprezzamento di noi stessi Chi del resto non avverte il bisogno di essere considerato? La stima e l'attenzione degli altri costituiscono sempre uno sprone perché contrassegnano l'altrui valorizzazione. Colui che ci ha amati per primo lo sa benissimo e per questo ha fatto tutto il possibile perché assumessimo consapevolezza che non soltanto egli ci ama immensamente, ma che ai suoi occhi, nonostante tutto, siamo preziosi. Nessuno di noi sfugge alla predilezione divina e questa privilegiata certezza si è palesata nella concretezza di un solo evento: Gesù Cristo, Dio fatto uomo, il quale incarnandosi ha manifestato l'assurdità dell'amore per tutti gli uomini, anche per quelli comunemente identificati reietti e riprovevoli. Anzi, proprio l'umanità più abietta è particolarmente resa oggetto di amore e nessuno nell'ottica del Dio fatto uomo nessuno è mai irrecuperabile, a meno che non lo disponga egli stesso. Tagore diceva che "ogni bambino che nasce ci ricorda che Dio non è ancora stanco degli uomini"; ma che Dio si sia fatto bambino e abbia vissuto da uomo certifica che Dio non è mai stanco di amarli, gli uomini. Che poi Dio, nonostante l'immensità del suo potere, smentisca se stesso fino a farsi uccidere con il più feroce e barbaro degli strumenti di supplizio, è prova che non può fare a meno di amarci.
Tutte queste riflessioni sopraggiungono dall'episodio di cui alla liturgia di oggi, nella quale non si parla altro che di amore disinteressato e infinito che Dio concede ai suoi discepoli e per estensione a tutti gli uomini, proponendo che diventi il contrassegno di vita universale.
Nella stanza ben ammannita della casa da lui stesso indicata a Gerusalemme, Gesù si raccoglie con i discepoli per consumare quella che a detta degli evangelisti sinottici è la vigilia della Pasqua e secondo Giovanni è l'antivigilia. Era in ogni caso la cena commemorativa della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto, quando l'angelo sterminatore era stato inviato da Dio a uccidere il primogenito di ogni uomo o bestia fra gli Egiziani. In quella circostanza, su invito dello stesso Signore, gli Israeliti avevano cosparso del sangue animale sugli stipiti delle loro case, in modo che l'angelo, passando, le individuasse e non entrasse a distruggere anche i primogeniti d'Israele. Il Signore aveva liberato gli Israeliti da una lunghissima schiavitù, per la quale di generazione in generazione si doveva celebrare la Pasqua, che commemorava questo evento, consumando l'agnello arrostito in ogni famiglia. Proprio in quella sera commemorativa, Gesù rinnova la volontà di Dio Padre di voler liberare l'uomo soprattutto dalla schiavitù di se stesso, con una forza capace di sciogliere tutte le catene che opprimono: appunto l'amore incoraggiante. Di questo amore Gesù da un segno singolare e allusivo chinandosi e lavando i piedi a ciascuno dei suoi discepoli. Un atto che si commenta da se stesso, che spiega con risolutezza che l'amore di Dio per gli uomini è autentico e straordinario e si spinge fino all'eroismo. Ad eccezione che agli invalidi o agli anziani, difficilmente si trova oggigiorno chi sarebbe disposto a lavare i piedi a terzi. Un atto così umiliante è interpretato comunemente come inadeguato e illogico dell'umano moderno e infatti Gesù deve faticare non poco a convincere Pietro dell'intensità di questo amore. E fatica non poco a convincere i suoi discepoli di ogni generazione. Ciononostante, come dice l'evangelista, "li amò fino alla fine" e una volta effettuato il pediluvio ai suoi, raccomanda loro: "Come ho fatto io, fate anche voi", affinché la logica dell'amore effettivo e non subdolo e interessato diventi di prassi fra tutti.
Abbiamo detto che la lavanda dei piedi è un gesto straordinario e insolito. Ciononostante è un atto di attenzione concreto fra i più semplici ad eseguirsi, sebbene eroico sotto il punto di vista odierno.
E' di conseguenza emblema di quelle piccole attenzioni di cui il vero amore dev'essere costituito, di tutti i minimi accorgimenti, le semplici opere di bontà che spesso sono tanto facili quanto importanti per gli altri. Esprime il sincero interessamento che ci si dovrebbe osservare gli uni gli altri, la capacità di sapersi donare anche nelle piccole occasioni omettendo ogni distanza o superficialità. L'amore che insomma traspare innanzitutto dall'essere, prima ancora di concretizzarsi nelle opere, che riempie di gioia chi è capace di esercitarlo. E di fatto Dio ama chi dona con gioia (1 Cor 9, 7) e la felicità risiede nella soddisfazione che si prova nel dare molto più che nel ricevere. Se sentirsi amati produce conforto e sprone ad andare avanti, amare gli altri con disinteresse produce serenità, gioia e letizia perché nell'esperienza del farci per gli altri realizziamo noi stessi.
Anche spezzare il pane è un piccolo atto di attenzione per niente estraneo alle nostre case e nelle nostre abitudini. Ai tempi di Gesù indicava la disponibilità a donare se stesso da parte del padre di famiglia che rendeva grazie per il pane e per il pasto quotidiani. Appunto spezzando il pane e dicendo "Questo è il mio Corpo"; "Fate questo in memoria di me" Gesù dona interamente se stesso come alimento, pane di vivo disceso dal cielo al quale si può accedere nella semplicità e nell'immediatezza. Nel Sacramento della sua presenza sostanziale, l'Eucarestia, si fa esperienza per l'appunto della semplicità con cui il Pane Gesù viene spezzato perché tutti ne consumiamo forti della convinzione di mangiare proprio di lui, alimento di vita e farmaco di immortalità. "Questo è il mio Corpo significa infatti nell'accezione orientale "Questo sono Io". Il pane e il vino ricordano l'offerta di Melkisedek, sacerdote del Dio altissimo che al ritorno dalla guerra dei re, offriva "pane e vino"(Gen 14, 18), ci ragguaglia dell'invito a mangiare della sua carne e bere il suo sangue (Gv 6, 50 e ss) e ci rimanda anche allo "spezzare il pane" che riunirà la comunità dei discepoli negli Atti degli Apostoli. E in tal senso ci è di sprone a condividere lo stesso amore di cui siamo stati resi oggetto e con cui siamo stati incoraggiati al meglio.