Omelia (29-03-2018) |
don Alberto Brignoli |
Brocca, catino, e grembiule "La Chiesa del Grembiule: sembra un'immagine un tantino audace, discinta, provocante. Una fotografia leggermente scollacciata di Chiesa. Di quelle che non si espongono nelle vetrine per non far mormorare la gente e per evitare commenti pettegoli, ma che tutt'al più si confinano in un album di famiglia, a disposizione di pochi intimi. La Chiesa del Grembiule non totalizza indici altissimi di consenso. Nell'hit-parade delle preferenze il ritratto meglio riuscito di Chiesa sembra essere quello che la rappresenta con il Lezionario tra le mani o con la casula addosso. Ma con quel cencio ai fianchi, quel catino nella destra e la brocca nella sinistra, viene fuori un'immagine che declassa la Chiesa. Occorre riprendere la strada del servizio, che è la strada della condiscendenza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri. E' una strada difficile, però è l'unica strada che ci porta alle sorgenti della nostra regalità. L'unica porta che ci introduce nella casa della credibilità perduta è la porta del servizio. Solo se avremo servito potremo parlare e saremo creduti". Così, nella Settimana Santa del 1989, il vescovo di Molfetta don Tonino Bello, descriveva il suo sogno di Chiesa: una Chiesa del servizio, una Chiesa in cui nessuno si debba sedere sul trono a "primeggiare", ma a imitazione del Maestro si metta a servizio degli altri. Il catino, la brocca e il grembiule sono l'immagine più efficace, sebbene pure la più scandalosa, di questa messa del Giovedì Santo, che nella nostra fede cristiana rimane "la messa" per eccellenza, quella celebrata la quale, le altre acquistano senso; quella senza la quale le altre non contano nulla. E non solo perché fu la prima o perché fu celebrata alla vigilia della passione del Cristo (della quale oggi e in ogni messa facciamo "memoria viva"), ma anche - e oserei dire soprattutto - perché è stata la messa nella quale l'Eucarestia è stata istituita, e con essa il ministero sacerdotale, alla luce e nell'ottica del servizio. E questo, proprio per quel servile e scandaloso gesto della brocca, del catino e del grembiule, usati non per permettere ai commensali di lavarsi ritualmente le mani (come di dovere nella cena ebraica), ma per consentire a Gesù di mostrare ai suoi discepoli e al mondo, lungo la storia, che non c'è messa se non c'è servizio, non c'è fede se non c'è carità, non c'è chiesa se non c'è condivisione con la vita delle persone, specialmente dei più poveri. Brocca, catino, e grembiule: che bello, se ogni tanto, oltre a esporre una grande ostia dentro un ostensorio, utilizzassimo questa immagine, per adorare Gesù nell'Eucaristia! Che bello, se ogni tanto la Chiesa, nel Triduo Pasquale, insieme ai suggestivi riti liturgici, organizzasse gesti comunitari di carità e di servizio ai più poveri. Che bello, se ogni tanto la Chiesa, nell'amministrare il Sacramento della Riconciliazione in questo periodo pasquale, trovasse penitenti disposti a fare, invece di una semplice preghiera di ringraziamento dopo l'assoluzione, un gesto di attenzione verso qualcuno che ha bisogno anche solo di essere ascoltato e consolato. Che bello, se tutti quanti nella Chiesa prendessimo in mano un po' più spesso non solo il libro dei canti, il libretto dei vespri e delle lodi (o nella migliore delle ipotesi la Bibbia), o la monetina per accendere una devota candela alla Madonna e ai Santi, ma ci armassimo di brocca, catino e grembiule e iniziassimo - come ha voluto il Maestro - a lavarci i piedi gli uni gli altri... Che bello, se prendessimo in mano la brocca e iniziassimo a lavare le ferite sanguinanti dei nostri fratelli ammalati, bisognosi, soli, abbandonati, vittime di violenza, di abusi, di stalking, di sopraffazione, di furto della dignità e della libertà personale! Che bello, se sotto quella brocca collocassimo un catino per raccogliere quest'acqua sporca e la gettassimo via, lontano, e purificassimo noi stessi, le nostre comunità e l'umanità intera da tutte le nostre sozzure: dalle meschinità e dai colpi bassi che ci sferriamo l'un l'altro nelle piccole e grandi liti quotidiane; dalla bassezza morale che ci fa accontentare di fare per gli altri solo il minimo necessario e anche meno; dall'ipocrisia di una fede di facciata che si conforma con una messa settimanale, due o tre preghierine e un po' di elemosina; dall'indifferenza nei confronti di quelli che stanno peggio di noi e che magari noi ci permettiamo di giudicare come buontemponi o fannulloni; dalla diffidenza nei confronti di chi vuol provare a fare qualcosa di nuovo; dall'accidia che ci impedisce di pensare in un domani migliore; dal perbenismo e dal buonismo con i quali accettiamo e tolleriamo qualsiasi cosa, purché non tocchi i nostri interessi! Che bello, soprattutto, se quel grembiule lo usassimo per asciugare non solo i piedi lavati e rinfrescati dei nostri fratelli affaticati, ma anche le lacrime dei sofferenti, le lacrime di chi ha perso la speranza, le lacrime di chi soffre in un letto d'ospedale, le lacrime ci chi ha perso una persona cara, le lacrime di un bambino che non ha qualcuno con cui giocare, le lacrime degli anziani soli o dimenticati da tutti... Sono le lacrime dell'umanità; sono le lacrime di Cristo crocifisso, che domani prenderà con sé le nostre sofferenze e le porterà sulla croce: che bello, se ci fermassimo ai piedi di quella croce non con le mani giunte, ma con la brocca e il catino, pronti a lavare i piedi insanguinati del nostro Maestro. |