Omelia (18-02-2018)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su 2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.


Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».


Se nella vita "tutto è Grazia", come esclama, un istante prima di morire, il "curato di campagna" di George Bernanos, è certamente un dono di Grazia quello che la Chiesa ci offre in questa prima domenica di Quaresima, proponendo il deserto alla nostra meditazione.

Ci ricorda Marco che lo Spirito sospinse Gesù nel deserto. Nella Scrittura il deserto è una realtà ricorrente. È nel deserto che l'amore parla al nostro cuore (Osea); è dopo aver attraversato il deserto per quaranta giorni e quaranta notti che Elia avvista l'Oreb, il monte di Dio; ed è appunto in luoghi appartati (il deserto) che Gesù o si ritira quando deve iniziare la sua missione o quando deve compiere scelte determinanti.

Si intrecciano dunque nella Scrittura i richiami al deserto inteso sia come espressione sia geografica che simbolica. Chi ha avuto l'opportunità di farne l'esperienza, sa che «deserto» evoca un paesaggio di incomparabile bellezza. Subito vengono alla memoria distese di sabbia senza fine, dune che il vento muove e ricama e riforma, e poi, ossessivamente, altre dune, altra sabbia; albe e tramonti infuocati, tempeste di sabbia. Immagini da film, che non rappresentano però il deserto "frequentato" da Gesù: sassoso, ricco di inenarrabili contrasti; di giorno un'apparenza di morte, ma la notte - quando la calura si placa - è tutto un brulichio di piccole vite, spesso letali per l'essere umano, come Gesù sapeva quando parlava di scorpioni e di serpentelli. Se oggi andare a compiere un viaggio nel deserto non rappresentasse un lusso che solo persone benestanti possono permettersi, forse sarebbe utile di tanto in tanto "ritirarsi" in questi luoghi, dando a questo "ritiro" il significato che gli attribuisce la Parola di Dio: un punto non di arrivo, ma di partenza, di transito; un cammino verso il monte di Dio, e non un luogo in cui piantare la propria tenda per il resto dei giorni. Un luogo provvisorio, non definitivo.


È possibile, nella frenesia dell'oggi, trovare spazi personalizzanti di preghiera, cercare un equilibrio, una mediazione, tra le esigenze di incarnazione nella Storia e quel bisogno di contemplazione di cui spesso sentiamo la nostalgia? Che cosa significa, per un cristiano dei nostri giorni, «fare deserto»? Forse significa iniziare un cammino per diventare adulti nella fede, superando la fase adolescenziale - spesso irrisolta anche in età matura - tra libertà e dovere, tra legge e coscienza, tra paura ed amore. È stupenda la sintesi con cui l'evangelista ci ricorda che lo Spirito sospinse Gesù nel deserto. Non i codici della Legge, non la paura di un Dio vendicativo ed esigente, non l'interesse ad apparire un uomo religioso, né il bisogno di sentirsi diverso dagli altri uomini; e neppure la curiosità, oggi soddisfatta da un'infinità di agenzie di viaggio e da allettanti offerte in Internet, di fare un'esperienza nuova... ma lo Spirito, una voce che sentiamo risuonare in noi quando coscientemente incominciamo a tagliare i ponti con l'infanzia. «Fare deserto» significa anche entrare nella logica della pazienza di Dio, accettando la legge del passo dopo passo; significa munirsi di una bussola o guardare, seguendole, le stelle di notte, perché nel deserto, senza avere chiaro il punto di riferimento, dopo aver a lungo e faticosamente camminato, ci si può ritrovare al punto di partenza...

Ma c'è una cosa che Marco non dice nel suo Evangelo e che pure non è difficile da intuire. «Fare deserto» significa accettare l'inevitabilità della solitudine. Non solo nel deserto, ma in tutta la sua vita, Gesù ha sperimentato questa condizione. Solo nel confronto con il Tentatore, solo nelle decisioni più difficili, solo nel Getsemani. Noi non siamo da meno del Maestro, non siamo affatto dei privilegiati: anche per noi, nel deserto di pietra o nel deserto della città, suona spesso l'ora della solitudine. Per sperimentarla - e può essere questo il nostro deserto - non è necessario uscire di casa, prendere un aereo e andare nelle zone impervie della Palestina o dell'Arabia Saudita. C'è un deserto in casa nostra, nella vita di fabbrica, di scuola, di campagna, di parrocchia, di comunità; c'è deserto nei luoghi del nostro impegno volontario; c'è spesso un deserto nella nostra vita di coppia e di famiglia. La solitudine segna, in questi contesti, tutta la persona con la sua carica angosciante; ne condiziona le scelte su ogni versante, anche su quello religioso; determina i modelli di relazione. Alla solitudine, purtroppo, dobbiamo abituarci e il nostro conforto è pensare che essa non è tanto assenza di uomini e donne, quanto presenza di Dio.

In questa solitudine, animata da mille presenze fantasmatiche che ci interpellano e che ci tolgono il sonno e che ci scomodano nelle situazioni più impensate, anche per noi lo Spirito metterà nel cuore e sulla bocca un grido di amore e di speranza: «Vieni, vieni, Signore Gesù!».


Traccia per la revisione di vita

- Accettiamo di entrare con Gesù nel deserto?

- Nel deserto Gesù è stato tentato ed ha opposto resistenza al Tentatore. Da parte nostra, rifiutiamo la seduzione del "pane"? Comperiamo solo quanto ci è strettamente necessario?

- Rifiutiamo le soluzioni miracolistiche nella nostra vita? Ci "diamo da fare" per cambiare la storia in senso autenticamente umano?

- Rifiutiamo la seduzione del potere, dell'appropriarci degli altri, di considerare nostra o nostro la donna o l'uomo con cui viviamo?

- Sperimentiamo la solitudine nella nostra vita? Come la affrontiamo? Quali sono le nostre reazioni?


Luigi Ghia - Direttore di "Famiglia Domani"