Commento su Ger 31,31-34; Sal 50; Eb 5,7-9; Gv 12,20-33
Con questa domenica siamo giunti al termine del percorso quaresimale. Le letture di oggi ci richiamano quanto Dio sia fedele alle Sue promesse e ci ricordano che l'ultima Sua parola sono il perdono e la misericordia.
Nella prima lettura il profeta Geremia, che ci ricorda lo stile di Dio, annuncia una nuova alleanza, definitiva, non più scritta su pietre, ma nei cuori dei credenti, cioè il dono da parte di Dio di un cuore nuovo, che sia capace di accogliere con gioia il suo progetto di umanità. Al popolo di Israele in esilio Geremia annuncia la speranza di un nuovo ritorno, perché Dio mantiene fede alla sua parola; egli è un Dio che ama il suo popolo, che si prende cura di noi, che cerca la nostra amicizia e il suo desiderio è quello di essere per noi e con noi, di elevarci, di unirci a lui. Dio non può fare a meno di questa relazione con il suo popolo, che già si è allontanato una volta, e gli dà una nuova possibilità per vivere, per far conoscere il suo volto e lo prende per il cuore.
Per questo il salmo 50 chiede al Signore di "creargli un cuore puro" capace di amare veramente, gli chiede perdono di tutti i suoi peccati e di concedergli il suo Spirito.
Nella seconda lettura troviamo un Dio vicino, che una volta di più è amore. Il credente è chiamato a muoversi nella stessa logica del Figlio: fedele fino alla fine, nella certezza che Dio non è assente nella croce, ma in essa si rivela in modo diverso dalle attese umane. Qui ci immergiamo nella passione di Gesù: la sua disponibilità, le sue lacrime e la sua obbedienza diventano strumenti di salvezza e di preghiera.
Nel vangelo troviamo il racconto di alcuni greci, convertiti all'ebraismo, che hanno sentito parlare di Gesù e lo vogliono vedere. Per questo contattano Filippo ed Andrea (che presumibilmente conoscevano il greco) e pongono loro la richiesta, che però genera in Gesù una certezza che gli fa esclamare: "È venuta l'ora che sia glorificato il figlio dell'uomo". Tutto il Vangelo di Giovanni è percorso dal tema dell'"ora" di Gesù e da quello della "gloria": adesso è venuta l'ora del "figlio dell'uomo": il suo messaggio era giunto anche al di fuori delle pecore sperdute di Israele alle quali pensava, in un primo momento, d'essere stato inviato. Vedere Gesù significa sperimentare l'Amore di Dio che arriva al vertice del suo splendore nella più profonda oscurità della Croce, significa incontrare e riconoscere Gesù nella sua vera identità e credere in Lui. Ai Greci che vogliono vedere Gesù, egli annuncia l'imminenza della sua morte che è la via per realizzare la sua missione.
Ecco allora che Gesù racconta la parabola del seme che muore offrendoci un'immagine straordinaria per illuminare il mistero della fecondità che passa attraverso il sacrificio. Dio non vuole la sofferenza e il sacrificio, ma di fatto, nel nostro mondo dominato da falsi valori, il sacrificio, cioè il coraggio di andare controcorrente, diventa legge di vita, condizione di verità e di crescita umana. Se non muore nel cuore della terra il seme resta chiuso nella sua corteccia, che lo difende, ma ne isola il germe vitale, ne impedisce la fecondità. Così l'uomo, se non esce dalla sua sufficienza egoistica, dal suo individualismo, non può realizzare la pienezza della sua umanità. Amare significa consegnarsi a un'altra persona. Acquistano evidenza, allora, le parole di Gesù: "Chi cerca egoisticamente la propria vita la perde. Solo chi ha il coraggio di rischiarla per realizzare un progetto più grande, il progetto di Dio, la ritrova in tutta la sua pienezza".
Per l'evangelista Giovanni il seme è Gesù che muore in croce, perché noi potessimo godere del frutto della misericordia infinita di Dio che ci riscatta dal peccato e ci rialza da qualunque situazione pagando lui il prezzo delle nostre colpe. Tutte le contraddizioni con le quali dobbiamo confrontarci (sofferenza e salvezza, peccato e misericordia) trovano la loro collocazione in Cristo.
Per la riflessione di coppia e di famiglia:
- La nuova alleanza che avviene nel cuore in che cosa ci coinvolge? Siamo ancora fermi ad una fase di esteriorità oppure percepiamo che la legge di Dio è entrata nel nostro cuore e ci trasforma? Come?
- I greci si rivolgono a Filippo e Andrea perché parlavano la stessa lingua: i nostri figli a chi si rivolgono per avere una spiegazione, un orientamento? I giovani oggi non rifiutano la tradizione, ma vogliono conoscerne le origini e le implicazioni: come li aiutiamo in questa ricerca?
don Oreste, Anna e Carlo - CPM Torino