Omelia (25-03-2018)
Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Mc 14,12-26

Lectio

12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

Il brano si apre con due indicazioni temporali. Nella festa di Pasqua si erano sovrapposte due celebrazioni entrambe legate alla liberazione del popolo di Israele dall'Egitto: la confezione e il consumo di pane azzimo, impastato con la farina di grano nuovo e l'immolazione dell'agnello. Solitamente con il termine Pasqua si indicavano entrambe le feste, ma Marco, che parla a una comunità poco esperta di riti ebraici, ci tiene a sottolineare i due aspetti della festa, soprattutto poiché il pane azzimo con la morte di Gesù acquista un nuovo significato. I suoi discepoli chiedono a Gesù dove volesse celebrare la Pasqua. Era un rito da compiere in casa, in famiglia, ma ormai molti venivano appositamente a Gerusalemme per compiere questo rito, quindi tutte le case della città venivano messe a disposizione dei pellegrini. Bisognava preparare per tempo poiché era necessario avere il pane non lievitato, l'agnello, la tovaglia e altri accessori, divani e cuscini.


13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo.

Il gruppo di Gesù e dei discepoli si trovava probabilmente ancora a Betania, paese poco distante da Gerusalemme, dove Gesù la sera precedente, seduto a tavola era stato unto da una donna (Mc 14,3-9). Quindi i due discepoli vengono mandati in città per fare i preparativi. Egli indica con precisione di seguire un uomo con la brocca d'acqua. Era raro che un uomo andasse ad attingere acqua, era un compito riservato alle donne. Probabilmente il luogo del cenacolo prescelto da Gesù era tenuto da una comunità religiosa maschile. Questo ci fa capire che per Marco Gesù è pienamente cosciente e padrone di questi ultimi suoi giorni, non li subisce come una vittima.


14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».

Il modo con cui i discepoli vengono istruiti sul da farsi è del tutto simile ai preparativi per l'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme (Mc 11,1-3), c'è tutta una serie di azioni a prima vista strane, ma che hanno motivazione nel fatto che è Gesù a volerle. Anche qui il Maestro è la parola che apre le porte ai discepoli. Il padrone di casa offrirà ai discepoli la grande sala al piano superiore. Qui si trovava di solito la stanza più grande. Il gruppo di Gesù era di almeno 10 persone, secondo la Mishna doveva misurare almeno 10 x 10 cubiti (cioè 23 metri quadrati). Inoltre si dice che è arredata, cioè fornite di tappeti o cuscini per il banchetto. Ricordiamo che ai tempi di Gesù i pasti solenni si prendevano sdraiati. Ciò per la festa di Pasqua significava che il popolo era uscito dalla schiavitù dell'Egitto e i suoi membri dovevano avere comportamenti da uomini liberi.


16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

I discepoli si recano in città e trovano tutto ciò che era stato loro predetto da Gesù. Lo scopo di questo piccolo brano non è tanto quello di spiegare per filo e per segno come andarono i fatti, ma ricordare la signoria di Gesù anche in questo momento così tragico. Si tratta di un preludio solenne a ciò che viene narrato in seguito.


17Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici.

Due discepoli erano già a Gerusalemme. Essi vanno contati con i Dodici di cui si parla in questo versetto. I Dodici saranno i testimoni degli importanti avvenimenti che stanno per essere narrati, dal banchetto fino all'arresto di Gesù.


18Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà».

La narrazione passa subito al banchetto, senza peraltro indugiare a descriverlo. Ciò che conta è ciò che dice Gesù. L'importanza si coglie dall'introduzione in verità vi dico. L'annuncio della consegna, il tradimento allude all'azione di Giuda, colui che sta per consegnarlo. Non si pone però l'accento sulla sua persona, ma sull'azione come tale e sul fatto che essa avviene all'interno del gruppo dei discepoli. E la cosa è ancora più grave poiché si tratta di uno che sta condividendo la tavola con lui. Vi si trova l'allusione al Salmo 41,10 "anche l'amico in cui confidavo, colui che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno". Ricordiamo che Gesù aveva scelto i Dodici perché "stessero con lui" vivessero con lui in comunione.


19Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l'altro: «Sono forse io?».

La reazione dei Dodici è la tristezza. La domanda che circola tra di loro non è tanto una difesa, ma è incertezza circa la loro situazione. Su questa base si comprende chiaramente il senso vero dell'annuncio di Gesù. Non si tratta di un ammonimento verso colui che lo consegna, né è rivolto primariamente alla comunità, ma possiede un contenuto dogmatico. Gesù ha rivelato una disposizione di Dio. Ciò non toglie la responsabilità umana. I discepoli però cadono nell'incertezza perché conoscono la propria debolezza e la propria scarsa affidabilità.


20Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto.

Gesù non risponde direttamente ai singoli discepoli, ma risponde in generale. Chi lo tradisce è uno dei Dodici, colui che con lui intinge nel piatto. Viene messo di nuovo in discussione il gruppo dei Dodici nella sua totalità. Colui che consegna non è smascherato (come in Gv 13,26) tuttavia è presente. Marco non dice del suo andare via (che pensiamo sia accaduto prima di 14,43).

Il mettere la mano nel piatto presuppone che tutti i commensali mangiassero dallo stesso recipiente nel quale intingere con un pezzo di pane. Ciò accadeva in ogni pasto giudaico, anche durante il banchetto pasquale.


21Il Figlio dell'uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell'uomo, dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito! Meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!».

Con queste parole di maledizione e di ammonimento vi è un cambio di prospettiva. Se fino a quel momento si era guardato in avanti, all'azione del tradimento, ora l'avvenimento ha per oggetto l'andarsene del Figlio dell'uomo. Andarsene sta per morire. Una morte accettata attivamente. Il destino accettato corrisponde alla volontà di Dio esposta nelle Scritture.

Segue la maledizione riguardante quell'uomo. E' una modalità molto ricorrente nella Bibbia greca. Antagonista del Figlio dell'uomo, quell'uomo consegna lo stesso figlio dell'uomo. Il verbo greco consegnare, paradidomai, acquista valore teologico, è collegato al libero andarsene e al piano della Scritture. La maledizione meglio se non fosse mai nato si ritrova anche nei testi apocalittici. Allude al giudizio finale ma non implica necessariamente una condanna.


22Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo».

Il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia circolava certamente da molto tempo prima della redazione del vangelo di Marco (che ricordiamo è il primo vangelo ad essere stato scritto). Mancano perciò dei riferimenti precisi alla cena della Pasqua ebraica, che ormai non interessava più alla comunità cristiana. La benedizione del pane qui sembra fatta durante il pasto e non all'inizio. Prendere, benedire, spezzare sono termini tecnici della preghiera giudaica prima del pasto. Ad essi Gesù aggiunge la distribuzione ai presenti, elemento che richiama l'attenzione alla celebrazione eucaristica. Al gesto si accompagnano le parole di spiegazione. Invece di dire, come era nella cena ebraica: "Ecco il pane della miseria che i nostri padri mangiarono in Egitto", Gesù riferisce il pane direttamente a se stesso, o al suo corpo. Soma infatti si riferisce al corpo ma anche alla persona.


23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.

Segue l'azione del calice. Nel banchetto pasquale, tra la benedizione del pane e la benedizione del vino c'è la consumazione dell'agnello. Si tratta inoltre della benedizione del terzo calice. Qui non vi è benedizione, ma rendimento di grazie. Questa è una variazione rispetto al rituale ebraico che benediva anche il calice. E' certo un cambiamento dovuto alla celebrazione dei cristiani. Anche qui vi è una distribuzione tra tutti i presenti.


24E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti.

Nella frase di spiegazione sul calice, Gesù lo riferisce al suo sangue. L'espressione del sangue dell'alleanza è allusione a Es 24,8, il sangue degli animali con cui Mosè asperge il popolo per segnare la conclusione dell'alleanza con Dio. Subito dopo vi è un banchetto fraterno con i nobili del popolo (24,11). Grazie alla morte di Gesù viene posta in essere un'alleanza che prende il posto di quella precedente. Il sangue viene versato, per cui la vittima sacrificale è uccisa, ciò assicura comunione con Gesù che si offre nella morte. Questo sangue è versato per molti. Nei manoscritti di Qumran questo termine viene usato in senso ristretto e viene riferito alla comunità. Però se lo si legge riferito agli inni del Servo di JHWH (ad es. Is 42,6) questo sacrificio non può essere che universale, visto che il Servo è detto "Luce delle genti". La frase esplicativa segue dunque una linea duplice: l'alleanza è rivolta ai Dodici, ma questi sono il fondamento del nuovo popolo di Dio. Dall'altra parte, l'espiazione universale mira a coloro che erano fuori della legge e ai popoli pagani.


25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

Gesù termina il suo gesto parlando del suo destino personale, usando un detto profetico caratterizzato dalla doppia negazione. Non berrà più non per astinenza, ma perché dopo il buio momento della morte si realizzerà per lui un modo diverso di bere. Così il banchetto attuale viene messo in relazione con il banchetto escatologico della perfezione celeste. La frase esprime perciò la sua speranza per il futuro e la certezza della rivelazione.


26Dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

L'assemblea ha termine con il canto dell'inno. Ciò si riaggancia al banchetto pasquale ma anche alla celebrazione eucaristica. Nel banchetto pasquale l'inno era il piccolo Hallel (salmi 114 o 115-118). Il passaggio al monte degli Ulivi prepara la scena dell'arresto di Gesù in Mc 14,32. Il divieto di lasciare la casa nella notte di Pasqua non valeva più ai tempi di Gesù. Di fatto restava l'obbligo di non lasciare Gerusalemme, ma il monte degli Ulivi faceva parte del territorio della città.