Omelia (29-03-2018)
Monastero Domenicano Matris Domini
Commento su Gv 19,17-22

Lectio

17ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota,

Quando Gesù parlava della croce lo faceva con un termine dal doppio significato essere innalzato. Il racconto della croce è nella stessa prospettiva e si presenta come una interpretazione di questo avvenimento. Gesù si carica della croce ed esce in direzione del Calvario, quasi come se fosse una sua iniziativa. Avviandosi verso il suo supplizio Colui che è "uscito da Dio e venuto nel mondo" ora esce da questo mondo per tornare liberamente al Padre.

Come il luogo della sentenza, anche quello dell'esecuzione viene indicato con il suo nome greco e aramaico, con il medesimo significato.


18dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù in mezzo.

Anche Giovanni, come i Sinottici, non descrive la crocifissione in sé. Il verbo stauroo alla terza persona plurale basta per affermare l'orribile fatto. Conserva la tradizione comune sui due uomini crocifissi contemporaneamente a Gesù ma le dà un altro valore. Gesù sta nel mezzo, al posto d'onore, il posto del re.


19Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».

La scritta sul capo del condannato, il motivo della condanna, aveva un fine di intimidazione. Al dato tradizionale dei Sinottici Giovanni ha dato un posto predominante, in cui il tema dominante del processo trova un compimento.


20Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco.

L'elemento principale è l'annotazione che l'iscrizione, vero e proprio documento ufficiale, era scritta in tre lingue. L'ebraico, lingua sacra del popolo eletto, è menzionato per primo, poi le lingue secolari: il latino, lingua ufficiale dell'Impero e il greco, quella degli scambi culturali e commerciali. Il fatto non è impossibile storicamente perché le iscrizioni plurilingui sono frequentemente attestate nell'antichità romana, ma qui domina l'intenzione teologica: l'enunciato che voleva essere ironico, diventa proclamazione al mondo intero della regalità universale di Cristo.

Il qualificativo Nazoreo forse dispregiativo, assente dalla narrazione dei Sinottici, precisa l'identità del Crocifisso, evocando il punto centrale della controversia sulla sua messianicità. E Giovanni insiste: molti Giudei lessero tale scritta.


21I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: "Il re dei Giudei", ma: "Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei"». 22Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

Il significato messianico della scritta inquieta i sommi sacerdoti giudaici che si sentono presi in giro da Pilato: lo scontro finale con il prefetto ha come effetto l'indelebile affermazione della dignità regale di Gesù. Con il suo lapidario rifiuto di modificare il testo dell'iscrizione, Pilato esce vincitore dallo scontro con i capi giudaici. La parola scrivere viene ripetuta per 5 volte in poche righe. Anche Pilato in modo inconsapevole diventa strumento del disegno di Dio, partecipa alle Scritture. La formula con cui Gesù Crocifisso verrà identificata da tutte le generazioni future (INRI) è stata scritta da Pilato.