Commento su At 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18
Oggi è la domenica in cui, noi cattolici, celebriamo la Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni, di tutte le Vocazioni: quelle religiose e non, come quelle matrimoniali, sociali etc. Ma è anche la domenica del buon pastore, anzi, per essere per essere più fedeli alla lettera " del bel pastore". Si! Perché il termine greco usato, " Kalòs " vuol dire bello, giacché per gli antichi filosofi non c'era distinzione fra bello e buono, pertanto tutto ciò che era bello era anche buono.
Talora Dio buono e giusto, si fa presente a noi come un'antinomia, per cui ci chiediamo come Dio che, tutto può, ha permesso che, in tempi tanto a noi vicini, si siano costruiti i forni crematori, i lager, i genocidi e gli scandali causati da quanti parlano a suo nome.
Nell'affermazione di Gesù che dice di essere il solo pastore capace di amare le sue pecore non c'è niente di idilliaco ma c'è la denuncia dei capi religiosi di Israele di essere dei mercenari di cui nulla importa del gregge che Dio ha loro affidato.
Questa parabola del "buon pastore" può essere interpretata in chiave familiare. L'amore dei genitori per i figli è il tipico esempio di autorità. Ma c'è una condizione che deve essere osservata: al centro della famiglia deve esserci la persona dei figli e non il servizio dei figli nei riguardi dei genitori. Dare la vita non si esaurisce col solo momento del generare, ma si protrae durante tutta la vita senza tentativi di riprendersi quanto si è generato.
La prima lettura tratta da Atti degli apostoli 4,8-12 ci presenta Pietro e Giovanni davanti al sinedrio che vengono interrogati: " Con quale potere e in quale nome voi avete fatto questo?". È per bocca di Pietro, le cui parole sono condivise anche da Giovanni, in quel momento presente e in seguito anche da tutti gli altri, che si perpetua l'azione e il destini di Gesù di Nazaret sino ai nostri giorni. C'è da chiedersi sino a quando sarà permesso al Papa di recarsi, in visita apostolica, dove esistono comunità cristiane cattoliche e ivi fare cerimonie pubbliche? Oggi come ieri, la Chiesa, predica il nome del Signore, crede nella sua vittoria sulla morte e sul peccato. Battezza nel suo nome, attraverso cui tutti possono raggiungere la salvezza; inoltre pronunciare il suo nome è annunciare che lui ci è vicino.
Questo Salmo venne utilizzato durante la festa delle Capanne (dopo la deportazione babilonese nel 444 a. C.) e a tutt'oggi fa ancora parte del rituale di questa festa. Stando alla testimonianza dei sinottici, Gesù ha applicato a sé questo salmo, come conclusione della parabola dei vignaioli omicidi. È lui "la pietra scarta dai costruttori - che- è diventata la pietra d'angolo", scartata dalle autorità religiose del tempo. Anche oggi gli scarti non vengono presi in considerazione, vanno nelle discariche. A noi non resta che celebrare il Signore perché buono e misericordioso nei nostri confronti.
In questa prima lettera, Giovanni, al II capitolo ci invita ad osservare quale prova del suo amore ha dato a noi cristiani il Padre celeste. Egli, per mezzo della grazia santificante, ci ha fatti partecipi della sua natura divina perciò, per amore siamo chiamati e lo siamo in realtà, figli di Dio. Il mondo odia i cristiani, perché odia Dio, non ricosse i loro diritti, perché non riconosce i diritti di Dio, forse perché noi non manifestiamo come dovremmo l'amore del Padre. Sebbene sin d'ora siamo suoi figli, non è ancora manifestato quello che saremo, quando la nostra dignità comparirà in tutto il suo splendore, inondati dalla sua gloria lo contempleremo come egli è nella sua essenza.
La terza lettura tratta dall'Evangelo di Giovanni 10,11-18, conosciuto come il vangelo del "bello/buono pastore: kalòs". Come già dato sopra, la bellezza non viene messa in relazione con l'aspetto esteriore del pastore, ma con il suo modo di comportarsi nei riguardi del suo gregge. Mentre gli altri pastori vedono nel gregge una massa indifferenziata di pecore su cui esercitano il loro controllo, il modello di pastore qui proposto conosce le sue pecore ed è da esse riconosciuto. In questi versetti, oltre alle immagini di sicurezza, sono evocate anche immagini di sfruttamento come quelle evocate dal profeta Ezechiele ( Ez 34,1).
In questo brano Gesù si auto-rivela come il buon pastore, non un mercenario qualsiasi, il quale resta troppo spesso estraneo al gregge che gli viene affidato, come è ben espresso in ebraico dal verbo "conoscere". Poiché Gesù ha dato vita ad una Chiesa che deve essere intesa come raduno ecumenico di credenti, questa deve presentarsi come forza di attrazione non come potenza. Egli è il buon pastore che cerca anche "le pecore che non sono di questo ovile; anche queste devo condurre". È Dio che cerca il suo popolo e non viceversa. Questo concetto è ben espresso in maniera concisa dal docente di etica e mistica ebraica nel Jewsh Teologica Seminary di New York Abraham Joshua Heschel: la Bibbia...è la storia di Dio che si mette alla ricerca dell'uomo.
Revisione di vita
- Crediamo veramente in Dio Padre onnipotente, cioè sempre pronto a perdonarci e ad amarci?
- Le pecore nere non esistono ma sono frutto del nostro orgoglio. Siamo intolleranti di quanti la pensano diversamente da noi?
- Il nostro Dio non è il Dio dei filosofi, ma una realtà fuori dalla nostra portata. Siamo consci che per conoscerlo dobbiamo solo ubbidirli come gli ha ubbidito l'Unigenito?
Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari.