Omelia (29-04-2018)
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)
Commento su At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

La liturgia odierna sottopone alla nostra meditazione quale era il rapporto che esisteva tra la Chiesa nascente e la Sinagoga, agli inizi del II secolo d. C., quali erano le tensioni che la turbavano e le discussioni che sorgevano, tra coloro che provenivano dal giudaismo e quelli che venivano dal paganesimo.

Qòelet, riferendosi alla situazione attuale, direbbe: "Ecco, questa è una novità? Proprio questa è già avvenuta nei secoli che ci hanno preceduto". Anche oggi la medesima situazione, modi di pensare diversi tra conservatori tradizionalisti e gli Enrico Totti innovatori. gli uni devono stare attenti a non diventare come la moglie di Lot, gli altri a non edificare la torre di Babele.

Anche oggi ci sarebbe bisogno di un Paolo e di un Barnaba, da una parte, nonché almeno di un Giovanni, dall'altra, che ci richiami alla carità: "Non amiamo a parole, ma coi fatti".

Come ogni famiglia, sappiamo benissimo che, ogni crescita è sempre accompagnata da tensioni, le quali sono feconde solamente se sono vissute nel rispetto reciproco e senza imposizioni, altrimenti non siamo più educatori dei nostri figli ma dominatori ed loro, appena possono si allontaneranno da noi. Se vogliamo portare frutto, dobbiamo comportarci come la vite, che alimenta con la sua linfa i tralci affinché gli acini dei grappoli diventino turgidi.

Il mondo, nel quale viviamo, è pieno di progetti di liberazione dell'uomo; ma di liberazione del suo rapporto filiale con Dio. Questa è una libertà senza senso. Siamo punto e a capo, siamo sotto l'albero del bene e del male ma non lo vogliamo vedere. Siamo tralci staccati dalla vite che pretendono di portare frutto; ma il tralcio staccato dalla vite nella nostra regione viene utilizzato per cuocere arrosto il pesce oppure la salsiccia.

Il frutto che il tralcio ha è proviene dalla linfa' che il ceppo della vite fornisce al tralcio. L'uomo, senza Dio e senz'anima, può essere solo una bestia di difficile collocazione, necessita di essere prima di avere: promozione e progresso.

La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci narra dell'ingresso di Paolo nel gruppo degli apostoli. La sua accettazione nel gruppo non fu facili per due motivi: la comunità apostolica era integralista e, in questa comunità Paolo era conosciuto come ebreo osservante, non solo, ma anche come persecutore (presente alla lapidazione di Stefano, intenzionato a "distruggere la Chiesa di Gerusalemme"). Al collegio apostolico era nota la sua conversione ma erano pur conosciute le sue idee di apertura ai pagani, che contrastavano troppo con la prudenza degli altri apostoli. Anticipo della situazione che oggi viviamo, ma situazione necessaria perché si rischia una pericolosa fuga in avanti oppure si va incontro all'invecchiamento. Paolo fu fortunato perché era presente a Gerusalemme Barnaba che chiarì la situazione e testimoniò la sua conversione.


Il Salmista, in questa terza parte del salmo 21, ci invita a dare gloria al Signore misericordioso che ha l'orecchio attento a ogni nostro grido di aiuto. Gesù ci sollecita ad associarci a lui nel ringraziare il Padre per averlo esaudito.


La seconda lettura, tratta da 1Gv 3, 18-24, ci dice che il nostro cuore è la sede della nostra coscienza, ma anche l'accusatore dei nostri peccati. Per questo, Giovanni, ci invita ad amare non a parole, ma con i fatti, operando con carità e giustizia, per essere veramente veri figli di Dio e così la nostra coscienza non ci accuserà nel giorno del giudizio. Inoltre dobbiamo ricordare che la carità verso il prossimo, e non solo, è il mezzo più efficace per ottenere misericordia dal Misericordioso.


Il Vangelo della liturgia odierna, è tratto da quello dell'evangelista Giovanni. In questi primi vv.

del quindicesimo capitolo del IV Vangelo siamo esortati da Gesù a stare, se vogliamo essere produttivi, uniti a lui come il tralcio alla vite. La vite in tutto il vecchio testamento ha rappresentato il popolo eletto che Dio ha trapiantato dall'Egitto in terra di Cànaam a formare la sua vigna. Dalla pasqua di Gesù nascerà una nuova vigna di cui lui è "la vera vite e il Padre mio è l'agricoltore".

Questa frase contiene una novità. La novità consiste nel fatto che non è più il popolo trapiantato in terra di Cànaam ad essere la vite che dà origine alla vigna ma il Signore. Se pecchiamo ci facciamo del male perché ci priviamo della linfa vitale: non portiamo frutto e una volta secchi siamo adatti solamente per essere gettati nel fuoco. La fede in Cristo-Gesù richiede una adesione totalizzante a lui come il legame nunziale, un "si pere sempre" che darà gloria a Dio padre. Questa è la conditio sine qua non per essere con lui vigna sovrabbondante di frutto perché suoi discepoli.

Essere suoi discepoli, è dato altrove, vuol dire anche soffrire per amore del suo nome, vuol dire essere privati di una gita piccola per averne una più grande.


Revisione di vita

Come coppia siamo l'uno per l'altro vite e tralcio?

Dai nostri figli, che sono il nostro frutto, si può ottenere del buon vino da bere oppure un vino che facilmente inacidisce?

Abbiamo curato con impegno la nostra vigna oppure ci siamo interessati di essa solo al momento della vendemmia.


Marinella ed Efisio Murgia di Cagliari.