Omelia (05-04-2018)
don Cristiano Mauri
Commento su Luca 24,35-48

Il brano è composto da due parti tra loro chiaramente distinte: la prima dà conto dell'apparizione del Risorto, del suo riconoscimento e della sua reale corporeità; la seconda comprende le parole di spiegazione che Gesù rivolge agli undici insieme all'istruzione circa la testimonianza che dovranno dare.

Ci soffermiamo a raccogliere qualche elemento di approfondimento della lettura solo per la prima delle due parti.

In essa l'accento forte è posto da Luca non tanto sul riconoscimento del Risorto, quanto sul tema della sua realtà corporea; una sottolineatura così insistita e forte da risultare eccessiva.

Mentre i discepoli stanno parlando dei fatti di Emmaus e dell'apparizione a Simone, ecco materializzarsi improvvisamente il Risorto. Luca non lo nomina nemmeno, quasi a dire che è proprio Colui di cui si stava parlando.

Il saluto della pace direttamente ed espressamente rivolto agli undici sembra voler prevenire ogni forma di rigetto o paura in loro.

La reazione è invece di panico vero e proprio. Luca rinforza il concetto con una doppia espressione che fa apparire i discepoli più spaventati delle donne. Sono terrorizzati perché ritengono di vedere un fantasma (la tradizione biblica metteva in guardia dalla pericolosità delle apparizioni di spiriti in seguito a evocazioni o cose simili...) ma si tratta di una fantasia.

Il rimprovero del Risorto li richiama alla realtà. La sua presenza è reale e non appartiene al mondo del sogno, dell'immaginazione o dell'illusione. I discepoli sono invitati a riconoscere la sua identità personale: «Sono proprio io» è l'espressione con cui Luca indica la continuità tra il Gesù conosciuto e la novità del Risorto.

Non è il volto a rivelarlo, bensì mani e piedi. Evidentemente perché portano dei segni visibili, quelli della Croce. Sono il segno che Gesù non è semplicemente scampato alla morte. Piuttosto, colui che è stato crocefisso è ora vivo, in un'esistenza totalmente rinnovata.

Dopo aver visto e riconosciuto, devono - ancora una volta per ordine del Risorto - «toccare e osservare» il suo essere in carne e ossa.

Senza addentrarci in difficili e complicate considerazioni su cosa sia il «corpo risorto», raccogliamo il messaggio di Luca: tutta la «realtà personale» di Gesù è stata investita dall'evento della resurrezione e si presenta nuova agli undici.

Il gesto del cibo consumato diviene la dimostrazione plastica del realismo materiale dell'apparizione.

È paradossale e contraddittoria la reazione dei discepoli che si mostrano increduli per la troppa gioia nel vedere il Maestro.
La compresenza di entusiasmo e dubbio colpisce perché secondo logica sembrerebbe impossibile gioire di ciò che si dubita e viceversa. Ma l'esperienza e gli effetti dell'incontro con il Risorto domandano di essere compresi con categorie non solo razionali.


Pace a voi.

«Pace a voi» detto all'inizio di un brano carico di contraddizioni è un saluto bellissimo.

C'è la paura e c'è la gioia, c'è il dubbio e c'è la consapevolezza, c'è la speranza e c'è il disorientamento, ci sono i segni della morte e c'è l'evidenza della vita.

C'è l'ordinario del cibarsi e lo straordinario di un incontro eccezionale, c'è un'apparizione da fantasma e un corpo da poter toccare e vedere, c'è la familiarità di un volto noto e l'estraneità di un'esistenza nuova, c'è l'umano e c'è il divino.

La presenza del Risorto fa convivere gli estremi e tiene insieme gli opposti. Senza confonderli, senza farli coincidere, senza annullare la loro radicale opposizione. Non risolvendolo ma semplicemente disarmandoli.

Il dubbio non fa più la guerra alle certezze. Convivono. La gioia non lotta per eliminare la paura. La prende sottobraccio. Il corpo non è nemico dello spirito. Sono fratelli.

La contraddittorietà della vita ci fa spesso problema.

L'essere di frequente strattonati da un estremo all'altro, vedersi fratturati in sentimenti opposti, l'impegno di dovere reggere situazioni in contrasto l'una con l'altra, gioire e soffrire per amore, provare al contempo simpatia e rifiuto, fare i conti con i limiti e aspirare a cose grandi, credere in un valore e accorgersi di tradirlo.

L'elenco sarebbe lunghissimo, quello di esperienze che in un certo qual modo ci lacerano e ci fanno avvertire come divisi perché "fanno la guerra" dentro la nostra esistenza.

Sono passaggi che inquietano e comportano una sofferenza, quando non un logoramento. Spesso ci si sente "sbagliati" a causa di tutto ciò, a volte ipocriti o incoerenti, oppure inadeguati e incapaci a vivere in modo univoco. Talvolta addirittura maledetti.

Questo Risorto che concilia l'inconciliabile ci apre gli occhi a un modo diverso di guardare le cose.

C'è una «Vita nuova» da scoprire proprio nel tenere insieme serenamente le nostre contraddizioni che, così, non sono più una maledizione. Anzi, potremmo perfino arrivare a chiamarle benedizioni.

Pace a te.