Omelia (09-04-2018)
don Cristiano Mauri


L'Annunciazione è un brano su Cristo non su Maria. Non è un elogio delle qualità della Madre di Dio ma uno squarcio sul mistero del Messia, della sua origine, della sua natura di Figlio di Dio.

Ovviamente ci fa conoscere anche Maria, ma la comprenderemo in modo pieno solo nella misura in cui faremo splendere la luce di Gesù suo figlio e Figlio del Padre.

Le parole che l'angelo dice alla ragazza tratteggiano in modo profondo il volto del Cristo.

Dice anzitutto che viene per regnare, cioè per stabilire una sovranità, una forza, un sistema di funzionamento, un modo di organizzare l'economia, uno stile nel costruire il tessuto sociale, una struttura che ordini le cose.

Nelle sue parole, nelle sue opere, nel modo in cui assumerà la propria umanità, nello stile delle relazioni, nel complesso della sua esistenza vediamo "il Regno" per come è.

La sua è una vita anzitutto da Figlio. Perciò la forza da cui è mosso e che riempie le sue giornate è qualcosa di originale: è una paternità, l'amore di un padre, la cura dedita, premurosa, forte e delicata di un papà.

Gesù sperimenta e accoglie la cura di Dio per Lui e ne fa il proprio modo di essere. È re, ma mite, umile, paziente, pacifico, comprensivo, accogliente, benevolo.

Perciò lo vedremo esprimere il suo potere ponendosi a servizio degli altri, prendendosi cura dei deboli, mettendosi al di sotto di tutti; lo sentiremo parlare di misericordia, di vicinanza al povero, di perdono per il peccatore; lo vedremo guarire i malati, nutrire gli affamati, liberare i posseduti.

L'angelo, poi, annuncia che il Cristo farà tutto ciò in una carne d'uomo, ma aprendo una spaccatura divina nella linea di sangue che fa scorrere la vita da una generazione all'altra.

Il concepimento è miracoloso e il bambino che nasce è una feritoia da cui il Divino e l'Eterno si affacciano nella Storia. Uno slargo, un imprevisto, un inatteso che mostra qual è il vero destino a cui Dio chiama gli uomini.

In Gesù concepito nello Spirito, possiamo cominciare a pensare a una salvezza che va oltre ciò che gli uomini sanno fare e che si passano di padre in figlio.

In questa promessa di una speranza ulteriore ai limiti umani si sente tutto il profumo della Pasqua, che è una parola di vita al di là del limite della morte, il confine dell'umano. Nel concepimento miracoloso di Cristo c'è una chiamata a credere alla vita senza fine.


Liberi e belli.

Di fronte ai tratti del figlio che nascerà in lei, Maria è turbata, poi risponde, infine si mette in gioco. La replica dell'angelo è delicata come una carezza - «Non temere» - ma solida nel prospettare un futuro.

Lo scambio tra i due è già la manifestazione del regnare dolce e morbido di Dio: Maria ha la libertà di spaventarsi, farsi delle domande, presentare obiezioni, avere dei dubbi, essere scossa. Poi può fidarsi, scegliere, confidare in un compimento, appoggiarsi su una parola.

C'è una grande bellezza nell'agio con cui Maria si muove. È libera, sciolta nell'essere ciò che è. Sta davanti al suo Dio senza rigidità, complessi di inferiorità, sensi di inadeguatezza, dubbi sulla sua benevolenza.

La scioltezza della fanciulla è anticipazione di ciò che il Gesù realizzerà in tante delle persone che incontrerà: farà camminare gli storpi, vedere i ciechi, udire i sordi, rivivere i morti.

È l'immagine di come Dio "regna" liberando e lasciando liberi. Il Risorto che esce agile dal sepolcro portando i segni della Croce ne è la rappresentazione e la rivelazione più chiara. Più libero e più bello di Lui non ce n'è.

Ciò che ci spaventa, ci irrigidisce, ci blocca. Quel che ci mette soggezione, ci fa sentire inadeguati, ci convince di essere inferiori. Le spinte a preoccuparci troppo di noi stessi, a ripiegarci sui nostri problemi, a isolarci dalla storia e dagli altri. Il giudizio degli altri, la paura di sbagliare, il timore delle conseguenze.

C'è una quantità di cose che quotidianamente intralcia la possibilità di vivere sciolti e sereni.

La Pasqua è l'annuncio della possibilità di esserne slegati.

Il tempo pasquale che viviamo è quello in cui ci si esercita ad essere interiormente liberi e in cui si chiede con insistenza nella preghiera il dono della libertà del cuore.

Non perdere l'occasione.