Omelia (08-04-2018) |
don Luciano Cantini |
Non ci posso credere! Metti qui il tuo dito È con una certa violenza che il Caravaggio racconta l'episodio di Tommaso: Gesù con la destra discosta la veste dal costato e con la sinistra afferra la mano di Tommaso costringendolo a inserire il suo dito dentro la ferita aperta. Con una fisicità esasperata, Tommaso viene costretto da Gesù a infilare il dito fin sotto la pelle, ben dentro i lembi della ferita nel costato. La fronte di Tommaso, aggrottata dalla perplessità, sfiora quella di Gesù, vicinissime a quella degli altri apostoli i cui sguardi si incrociano sulla ferita del Cristo. La luce, forte come quella della rivelazione, promana da sinistra e schiarisce i volti di quegli uomini sconvolti dal "mistero". L'espressione di Tommaso è sconvolta e stupefatta, gli apostoli partecipano con apprensione alla scena, come se a loro volta avessero bisogno della stessa conferma richiesta da Tommaso. Il gesto drammatico, i volti fortemente espressivi, coinvolgono l'osservatore, rendendolo partecipe all'avvenimento che Caravaggio con tanta sapienza descrive sulla tela. Non c'è nulla di devozionale, di manieristico, la spiritualità sboccia proprio dalla drammaticità e dalla violenza del gesto, perché anche noi abbiamo bisogno di vedere e di toccare, lo sguardo penetrante dei tre è anche il nostro. L'interpretazione pittorica del Caravaggio mostra davvero, in modo realistico, quanto Giovanni racconta nel Vangelo, oppure è andato oltre le parole esasperandole fino a concretizzarle nel gesto? Possiamo leggere il dialogo tra Gesù e Tommaso scevro da rimproveri o umiliazioni; i dubbi di Tommaso non sono solo i suoi, gli altri discepoli che hanno vissuto la stessa esperienza non sono da meno, per non parlare dei cristiani di ogni luogo e di ogni tempo che continuano stentatamente a credere alla resurrezione e alla Pasqua, nella concretezza di aver tradotto nella vita e vivere le conseguenze della Pasqua nel contesto storico che vivono. Gesù si mostra disponibile verso Tommaso (e con lui ogni dubbioso) con amore e pazienza, riconosce la fatica del credere, esorta il discepolo a guardare e toccare; non sappiamo se poi si è proceduto ad una sorta di autopsia delle ferite anche perché è lontana dal Signore ogni sorta di violenza della libertà: la fede non si comanda. Il gesto richiesto e la proposta del Maestro ha un valore altamente simbolico: per credere bisogna entrare nelle ferite della passione... lo ritroviamo ripetuto e affermato in diverse occasioni e in modo diverso in tutto il Nuovo Testamento. «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. (Lc 9,23) «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». (Mt 20,22) «Sono stato crocifisso con Cristo. Vivo, ma non io, vive invece Cristo in me» (Gal 2,19 20). La resurrezione non è lo stadio definitivo della vita quanto un cammino da percorrere nell'oggi, in cui nulla è dato per scontato. L'imperativo di Gesù "non essere incredulo" nel testo greco suona diversamente: non diventare (gignou), come per dire che credere non è un fatto acquisito per sempre ma una dinamica della vita che può condurre con facilità da una parte come dall'altre. Anche la parola credente (pistos) e incredulo (apistos) non esprime solo la relazione con Dio ma il senso di affidabilità; non si è credenti solo per se stessi.
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