Omelia (15-04-2018) |
mons. Roberto Brunelli |
Troppo bello per essere vero? Il brano evangelico di oggi (Luca 24,35-48) presenta il seguito dell'episodio di Emmaus, quello dei due discepoli che il giorno di Pasqua hanno incontrato Gesù risorto. I due stanno riferendo agli increduli apostoli quel che hanno appena vissuto, quando Gesù stesso si fa presente mezzo a loro. "Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: ‘Perché siete turbati, perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho'. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia ancora non credevano ed erano pieni di stupore, disse: ‘Avete qui qualche cosa da mangiare?' Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro". Nel racconto dell'evangelista Luca viene da sottolineare l'espressione "Per la gioia non credevano". Come dire, troppo bello per essere vero. Ed è forse la ragione per la quale tuttora anche i credenti e praticanti assidui non manifestano l'intima gioia da cui dovrebbero essere pervasi, al sapere di avere riposto la propria vita nelle mani di Uno che è stato crocifisso e sepolto ma poi è risorto, Uno che, a chi gli si affida. offre di condividere la vita oltre la morte. Anche chi crede fatica a cogliere questa prospettiva come un antidoto alle inquietudini e paure e difficoltà, che tanto o poco affliggono la vita quotidiana di tutti. Cristo è risorto, io risorgerò con lui? Troppo bello per essere vero, pensano forse in molti. Ma il senso profondo della fede sta proprio qui: credere all'esperienza degli apostoli, che dopo la croce l'hanno visto, toccato, ascoltato, acquisendo della risurrezione una certezza che sono andati a divulgare nel mondo. E l'hanno sostenuta anche a costo di rimetterci la vita: quella terrena, certi di conseguire l'altra, senza fine. Domenica scorsa si è parlato delle ragioni per credere, indicandone due (l'eroismo dei santi e l'esistenza della Chiesa). Il vangelo odierno ne richiama altre due: appunto la testimonianza degli apostoli, e una ragione suggerita dallo stesso Gesù. Dopo quanto riferito, Gesù continuò così: "Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi'. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: ‘Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni'". La prima lettura (Atti 3,13-19) riferisce una circostanza in cui Pietro attuò il comando ricevuto, spiegando la morte e la risurrezione di Gesù a cominciare dai profeti e invitando i suoi ascoltatori a cambiare vita: "Dio ha compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati". Gesù invita gli apostoli (e ovviamente tutti noi) a leggere e capire bene gli scritti che designa come "la legge di Mosè, i Profeti e i Salmi", vale a dire l'Antico Testamento, quella parte della Bibbia che è stata scritta prima di lui. A leggerla con attenzione e senza pregiudizi, col vantaggio di essere illuminati dagli eventi successivi, si capisce che quanto è accaduto a Gesù non è stato un incidente di percorso, un fatto imprevisto; tutto anzi era stato predetto. La sua morte e risurrezione fanno parte di un piano concepito da secoli e puntualmente attuato: un progetto d'amore, rivolto a tutta l'umanità; un progetto dell'amore autentico, quello che non mira al proprio vantaggio ma sa donarsi alla persona amata, fino in fondo, se occorre fino alla morte. Tanto, direbbe forse Gesù, credete a me: la morte non è l'ultima parola. |