Omelia (10-04-2018)
don Cristiano Mauri
Credere in Cristo e credere in sè

Nella tradizione ebraica dell'Antico Testamento, il vento appartiene al mondo del divino. Creatura misteriosa di cui non si conosce la provenienza né la destinazione, nella letteratura sapienziale è immagine delle realtà che non si lasciano imbrigliare dal dominio dell'uomo. Lo si percepisce, in qualche modo si può dire conoscerlo, si impara anche a sfruttarlo a proprio favore, ma resta alla fine inafferrabile.

Giovanni gioca sul doppio significato della parola «pneuma» (in greco: sia vento, sia Spirito) per dirci che lo Spirito con ciò che lo riguarda, appartiene a quel mondo di elementi o esperienze presenti nella vita che tendono a sfuggire alla nostra presa, benché ne tocchiamo con mano gli effetti reali ed efficaci.

Chi crede - chi nasce dallo Spirito e ne è mosso - è presente al mondo ma quest'ultimo potrebbe non cogliere ciò che lo abita.

Nicodemo, che pur studia la Scrittura, non ne comprende il senso. Ironico è il fatto che un Maestro di Israele non possieda la chiave della propria sapienza. È la testimonianza di Cristo, infatti, che apre il vero significato. Non accoglierla significa condannarsi all'incomprensione.

Il testo di Giovanni si fa sempre qui denso e impegnativo.

Gesù non parla da sé, è «testimone», ciò che sa lo sa dal Padre. Perciò la sua parola apre il senso autentico di quelle dei profeti e della Legge.

È una rivelazione la sua, nella forma di una «testimonianza». Credere o non credere al Testimone? Entrare nella logica dello Spirito o restare confinati in quella della carne?

D'altronde colui che ha autorità per parlare delle «cose del cielo» è uno solo, l'unico che è disceso e vi farà ritorno. Il «Figlio dell'uomo» ha nel quarto vangelo il carattere di colui che discende per risalire, che si abbassa e viene innalzato. È l'unità del mistero di incarnazione e di glorificazione che racchiude l'esistenza di Gesù.

Le «cose del cielo» non sono più un segreto, ma una rivelazione. In Gesù, che viene da Dio e vi fa ritorno, ne veniamo messi a parte. Per questo è possibile nascere dallo Spirito, grazie alla Sua discesa e al Suo innalzamento.

L'accento viene, in conclusione, posto su quest'ultimo. Il Cristo innalzato è una salvezza, così come lo è stato il serpente di bronzo che, nel deserto, salvava dal morso velenoso per il solo fatto di volgervi lo sguardo.

Là era la vista a salvare ora è la fede che permette di nascere nello Spirito. Chi crede ha accesso alla «vita eterna». Non si tratta però di qualcosa che ha inizio dopo la morte ma di una pienezza di vita della quale si entra da subito e che verrà confermata a conclusione dell'esistenza terrena.

L'appartenenza a Cristo - «in lui» - è condizione imprescindibile della pienezza di vita.


Credere in Cristo e credere in sé

Accettare le proprie fragilità e i propri limiti è una buona cosa.

Ma ci si può fermare lì? Può essere tutta qui la buona notizia del Vangelo? Farsi una ragione della nostra limitatezza sarebbe il cuore della vita cristiana?

Me lo domando perché sento sempre più frequentemente questo ritornello.

Per la verità insieme a quell'altro che invece cancella il senso del limite o lo sminuisce. «Sei di più dei tuoi errori... Sei più grande delle tue mediocrità... Credi nella possibilità di spostare più in là il confine delle tue capacità...»

Ma il Vangelo del Crocefisso Risorto mi pare offrire tutt'altra prospettiva.

A Nicodemo che si scontra coi limiti del suo «essere di terra» viene aperto uno squarcio sul cielo. Anzi, gli viene annunciato quanto «cielo» c'è e ci può essere nella sua esistenza terrena.

Ai ristretti confini della «carne» vengono annunciate le infinite vie dello «Spirito». Non nel senso di due realtà giustapposte e alternative, ma profondamente intrecciate e necessariamente compresenti.

L'una sostiene l'altra. L'altra illumina la prima. Non contrapposte per qualità e valore, ma due irrinunciabili ingredienti di un Uno, che siamo noi.

Non ci salviamo pompando l'autostima nei nostri mezzi materiali. Tantomeno asfissiando nel quadrato dei limiti umani.

Il buon annuncio del Vangelo è la Vita piena, che siamo chiamati a credere e vivere fin d'ora. Fatta di «terra e cielo», di visibile e invisibile, si finito e infinito, di carne e di Spirito.

Credere a questo, come cambia il mio sguardo sulle mie e altrui piccolezze e il mio atteggiamento nei loro confronti?

E sui miei fallimenti? Su ripetere sempre lo stesso peccato? Sui dubbi di fede? Sul mistero del male nel mondo? Sul lavoro che non va? Sul rapporto complicato con chi amo? Su una relazione finita? Sulla fine che si avvicina?

C'è da credere in sé, è vero. Ma nella qualità più vera della Vita che ci è data.