Omelia (15-04-2018)
dom Luigi Gioia
Il cambiamento possibile

Il primo discorso di Pietro dopo la Pentecoste afferma la nostra responsabilità collettiva per la morte di Gesù. Fu crocifisso dai suoi contemporanei, ma ancora oggi siamo complici delle stesse dinamiche che condussero alla sua condanna. Nella celebre leggenda del grande inquisitore de I fratelli Karamazov, Dostoevskij afferma che se Gesù ritornasse oggi nel mondo, ancora una volta non sarebbe riconosciuto e di nuovo lo crocifiggeremmo. La chiusura del cuore che Gesù incontrò nei suoi contemporanei resta la stessa oggi. La sola ragione per la quale non ce ne accorgiamo è perché essa appare solo quando Dio ce la svela: solo la luce della misericordia manifesta il nostro peccato nel momento stesso in cui lo perdona. Come i contemporanei di Gesù, anche noi oggi abbiamo paura di ciò che Dio può cambiare nelle nostre vite, temiamo le sue esigenze, la sua novità, il suo modo di presentarsi che non corrisponde all'idea che ci facciamo di lui.
Le parole di Pietro non sono tenere: Avete rinnegato il Santo e il Giusto; avete graziato un assassino; avete ucciso l'autore della vita (At 3,14-15). Questa insistenza sulla gravità del peccato però è al servizio della proclamazione della grandezza del perdono di Dio, del cambiamento che esso introduce nella storia e nelle nostre esistenze: Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire (At 3,17-18).
L'uccisione di Gesù, il rifiuto dell'intervento di Dio nella storia che essa rappresenta, è diventata per Dio l'occasione di manifestare la sua determinazione di salvarci malgrado ogni nostra resistenza. Nessun rifiuto dissuade Dio. Quella di Pietro è dunque non una condanna, ma un messaggio di speranza: non c'è peccato che possa ostacolare la grazia che Dio dispiega nella resurrezione di Cristo.
Ce lo conferma Giovanni nella sua lettera quando dice: Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paraclito (un consolatore, un avvocato) presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1Gv 2,1-2). Colui che intercede per noi è lo stesso che abbiamo ucciso e rifiutato, ma che è ritornato alla vita in virtù di un amore più forte della morte. Ecco perché Pietro può proclamare: Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati (At 3,19).
Risurrezione vuol dire proprio questo: possibilità di cambiare vita. La potenza di Dio vince la nostra ignoranza, la nostra incapacità di percepire Dio come colui che vuole la nostra salvezza. La colpevolezza che ci opprime non è più insormontabile perché abbiamo un Paraclito, cioè un difensore, un avvocato, un consolatore presso il Padre.
Siamo spesso fatalisti, cinici, disillusi riguardo a questa possibilità di cambiamento, come questi discepoli che in presenza di Gesù, pur toccandolo, pur vedendolo mangiare davanti a loro, ancora non possono credere sia veramente vivo, presente tra di loro. Stentano a credere che colui che era stato così barbaramente soppresso, che avevano visto dissanguato, esanime, che era stato chiuso in un sepolcro, adesso fosse ritornato alla vita. Ecco perché Gesù dedica cinquanta lunghi giorni per farsi vedere, toccare dai discepoli. E' paziente con la nostra difficoltà a credere. Sa che abbiamo bisogno di tempo per accogliere la sua novità e aprirci così al suo invito: Convertitevi! (Mc 1,15; Mt 4,17)
Non dobbiamo allora scoraggiarci se, malgrado i nostri propositi di cambiamento di vita, continuiamo a sentirci pesanti, a non saper resistere al peccato. Se è vero infatti che il Vangelo ci chiede di non peccare, ancora più insistentemente ci invita a credere che la misericordia di Dio è più grande di ogni nostra trasgressione, come ce lo ricorda Giovanni: il Paraclito, cioè l'avvocato che difende la nostra causa, è Gesù stesso che ci ha amati e ha dato la propria vita per noi.
La nostra salvezza si manifesta in un cambiamento della nostra vita, ma questo è possibile solo a condizione di riceverla costantemente da Dio. Salvezza e cambiamento non eliminano il peccato dalle nostre vite, ma ci permettono di vincerlo facendolo continuamente perdonare, cancellare da Dio. Più riconosciamo il nostro peccato, più esso è perdonato e ci è così restituita la libertà di poter avanzare in una vita diversa.
Riflettiamo, meditiamo su questa equazione: credere nella resurrezione è credere nella possibilità di cambiare le nostre vite. Chiediamo al Signore questa grazia: "Signore, donami la grazia della conversione! Introduci questo fermento di novità nella mia vita. Aprimi gli occhi. Conducimi a percorrere, nella libertà dell'amore, le tue vie".

Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui