Omelia (15-04-2018)
don Maurizio Prandi
Cercare Gesù, cercare le ferite

La prima cosa che mi colpisce nel vangelo che abbiamo ascoltato è che la comunità degli Apostoli si lascia dire, annunciare Gesù da chi, (i due discepoli di ritorno da Emmaus), non appartiene al loro gruppo. E si lasciano dire quello che è il segno di riconoscimento, il segno distintivo del Risorto: lo spezzare del pane. Là dove c'è, (potremmo dire), un pane spezzato, lì c'è Gesù Risorto. Confesso che questa è una cosa che a me piace tantissimo. Quello che ha colpito i due discepoli, quello che è rimasto nella loro memoria, quello che ha lasciato il segno in loro, non è un miracolo ma un pane spezzato. Cosa dicono, cosa annunciano di Gesù quei due quando tornano a Gerusalemme? Lo spezzare il pane, lo spezzare la vita.
Alla condivisione sul Vangelo qualcuno diceva in fondo la stessa cosa: cosa dice Gesù di se stesso? Ho vinto io, visto che avevo ragione? No! Gesù di se dice le sue ferite, dice quello che ha dato, dice quello che ha offerto, quello che ha spezzato: la sua vita per noi! Dicevamo una cosa carina all'incontro con i genitori dei bimbi che riceveranno la Prima Comunione, riprendendo un'idea già condivisa tempo fa: la perfezione del pane non sta nell'essere cotto a puntino, o croccante, o bello dorato: la perfezione del pane sta nell'essere spezzato, perché di un pane intero cosa ce ne facciamo? Se non lo spezzi, il pane rimane sempre di uno solo e gli altri cosa mangiano? Se lo si spezza è perché tutti ne possano avere un pezzo!


Un Dio che sta nel mezzo, che da Risorto continua a fare quello che ha fatto per tuta la vita, ovvero stare con i suoi, che lo accolgono sapendo di mettere al centro questo Dio ferito. In mezzo a mille altre umanissime emozioni i discepoli hanno provato stupore. Dono del Risorto è lo stupore: stupore di fronte ai segni poveri della Risurrezione, stupore di fronte alle mani e ai piedi forati. Oggi, e non può che provocare domanda, questi segni, evidentissimi in tanti nostri fratelli, provocano rabbia, rifiuto, disprezzo, distacco; è evidente che i segni della croce sono i segni della Risurrezione e io non sono capace di vederli. Siamo certi della presenza del risorto là dove ci vengono mostrate le sue ferite e appartenere al Risorto vuol dire appartenere a quelle ferite, essere custoditi, avvolti da quelle ferite. Cercare le ferite vuol dire cercare Gesù! Ricordo la splendida intuizione di Vittoria (prima elementare) domenica scorsa che alla mia domanda su cosa cercasse Tommaso con quella richiesta di mettere le mani nel costato di Gesù ha risposto: Tommaso cerca l'amore! Che bello! Le ferite sono il suo amore per noi, e me lo ha detto una bambina!


Ci ha colpito anche il particolare del fantasma; sì, perché se Gesù è quello dei miracoli, se Gesù è quello che non appare per primo a te che sei un Apostolo ma ad altri, se resti chiuso nel tuo fortino-cenacolo e non esci, per forza pensi che sia un fantasma! Penso che il vangelo ci chieda di fare molta attenzione, perché se focalizziamo su altro che non siano il pane spezzato e le ferite il nostro annuncio, mettiamo al centro non Gesù, ma il suo fantasma! Chi metto al centro della mia vita come uomo, come prete? Gesù, o il suo fantasma? Lo spezzare il pane o il mio benessere? Le mani e i piedi, le ferite quindi o le frequentazioni di gente sempre pulitina e perfettina che non porta grossi problemi? Gesù mi dice che il rischio c'è, che posso annunciare, proporre un fantasma e mi mette in guardia dandomi i rimedi, gli antidoti, che sono, ripeto: le ferite (quello che lui ha dato, offerto); lo spezzare il pane (cioè lo stile che lo ha sempre contraddistinto: il banchetto); il bisogno (avete qualcosa da mangiare?). Su quest'ultimo particolare non credo che Gesù chieda da mangiare per dimostrare che ha un corpo di carne, ma perché possano riconoscerlo come il povero, come lui che chiede, come colui che ha bisogno! È davvero una presenza nuova quella del Risorto: è da domenica scorsa che ci fa vedere le ferite! E non è però una presenza speciale<. Gesù in persona dice il vangelo: nella sua condizione di uomo in relazione con altri uomini, con la sua identità che ci dice che la Risurrezione non è in opposizione alla nostra umanità, altro rispetto alla nostra umanità. Il Risorto domanda comunque gesti di intimità: toccatemi! Non me li immagino i discepoli che si avvicinano e con circospezione toccano quasi impauriti; me lo immagino più un abbracciare che un semplice toccare, come quando incontri qualcuno che proprio non ti aspettavi avresti rivisto e lo abbracci, appunto.


Dicevo che decisivo, per la fede dei discepoli non è stato nessun miracolo; per la fede dei discepoli è decisivo un gesto; decisiva per la fede dei discepoli è un'offerta, un dono; decisive, aggiunge Gesù, sono le Scritture dove è scritto che patirà e risorgerà. Che bello che del mondo di Dio faccia parte anche questo patire, che bello questo Dio che non si tira indietro, che risorge proprio perché attraversa tutta ma propria tutta questa nostra umanità anche nei tratti più faticosamente fragili come nei giorni della passione.


Chiediamo a Dio di aprire anche la nostra mente alle Scritture. Quale contatto ho con il Vangelo e quale frequentazione delle sacre Scritture? La Parola di Dio è al centro della mia vita oppure la relego in periferia? Ci sono nella mia vita le condizioni perché la Parola germogli oppure resta una Parola soffocata da altro? Preceduta da altro? Il Vangelo è qualcosa di concreto nella mia vita oppure è un fantasma? Gesù apre la mente dei suoi discepoli perché sa bene che senza Parola di Dio è impossibile riconoscere la sua presenza nella loro vita, senza Parola di Dio il cuore non arde e rimane spento.