Omelia (12-04-2018)
don Cristiano Mauri
Fare sintesi è una Grazia

Le ultime parole del Battista che occupano questi sei versetti sono una sintetica ma intensa confessione di fede nel Cristo che chiude il parallelo tra le due figure. È un testo non semplice da decodificare in breve.

Il confronto di Giovanni con Gesù viene approfondito a partire dai rispettivi "luoghi di origine": il primo appartiene alla terra, il secondo viene dall'alto, dal cielo.

La posizione dalla quale si parla determina il peso, la qualità, il valore di ciò che dice. Chi ha come orizzonte «la terra» non sa dire nulla che non sia «della terra». Chi viene «dal cielo» occupa una posizione di superiorità, ha accesso alle cose divine e sa leggere ancora più in profondità quelle della terra.

L'evangelista, con un particolare uso dei tempi verbali, afferma infatti che le Sue parole presenti sono la diretta conseguenza di un fatto avvenuto, di un evento passato e i cui effetti si vedono in ciò che ora viene comunicato. Ha, cioè, davvero visto e udito. La Sua testimonianza è dunque una «rivelazione».

L'attestazione di Gesù è però rifiutata. È il segno che chi proviene dalla terra non può da sé capire la parola che giunge da Dio e dunque non ascolta il Suo inviato.

Tuttavia, c'è anche chi la accoglie. Sembra una contraddizione, ma in ciò emerge un senso profondo: l'impossibilità da parte dell'uomo di accedere a ciò che è divino è vinta dalla volontà e dall'iniziativa di Dio stesso.

In chi crede vediamo «certificato in modo irrevocabile» (così il senso del testo) che Dio «è veritiero», cioè fedele e degno di fiducia nella Sua intenzione di rivelare all'uomo la via di una vita senza misura.

La testimonianza di Gesù è poi legittimata dal Battista con tre argomenti.

In Lui riconosce «l'Inviato», colui che porta la Parola di un Altro; dunque dice la verità su Dio. In seconda battuta, l'attendibilità viene dal dono dello Spirito che in Cristo abita con abbondanza. Infine l'amore del Padre per il Figlio si concretizza in una vera e propria delega d'autorità («Ha messo tutto nelle sue mani») per la quale Gesù rappresenta pienamente il Padre.

La fede nel Figlio sfocia nel dono della vita in pienezza che avviene qui e ora. L'incredulità, invece, nel non vedere Dio, restando in un orizzonte di morte (è opportuno leggere così "l'ira").

Particolare è il fatto che, nel testo, al «credere» viene opposto il «disubbidire», così che sia chiaro il riferimento a un'incredulità intesa non come semplice dubbio, ma come precisa volontà di rifiuto nei confronti di Gesù.

Nel Padre non c'è alcuna volontà di morte. Mai, per nessuno, in nessun caso.

C'è solo un amoroso, indubitabile, definitivo desiderio di Vita per tutti gli uomini senza alcuna esclusione. Il Figlio è il racconto vivo di questo amore senza misura.


Fare sintesi è una Grazia.

La confessione di fede che il quarto vangelo mette sulle labbra del Battista è da invidia.

Lucida. Precisa. Soprattutto sintetica. Ma di quella sintesi capace davvero di cogliere i capi fondamentali, le colonne portanti e le travi che sostengono e allo stesso tempo tengono insieme il discorso.

C'è la sua vita e quella del Cristo, con le rispettive identità. La natura degli uomini e quella del Figlio di Dio. La vocazione dei primi e la missione del secondo. Il volto di Dio e il destino dell'uomo. L'impegno del Padre e la responsabilità dei figli.

E, come in trasparenza, ciò che nel concreto significano e comportano le due parole che apparecchiano lo scenario: «terra e cielo».

Tutto, in sintesi. Da invidiare.

Quanto affanno si prova quando si è travolti dalla complessità e dalla complicatezza delle cose? Quanta ansia si avverte quando non si riesce a cogliere il filo del discorso della nostra vita? Il bandolo della matassa che sfugge non è una delle cose che più fanno mancare la terra sotto i piedi?

Avere un principio che permetta di fare sintesi è una Grazia. Nel vero senso della parola. Poter «ri-assumere», cioè prendere di nuovo in mano, con maggior consapevolezza, sicurezza e responsabilità gli elementi fondamentali della nostra vita, come unificandoli in un unico discorso, è fare un passo dentro una dimensione di vera e propria «pienezza».

Perfino quando si tratta di riassumere dolori e sconfitte.

È l'ingresso in una libertà più alta e vera. Come sempre accade quando cresciamo in consapevolezza. E dunque anche nella possibilità di vivere più intensamente l'amore, la fede, la speranza, la responsabilità, la carità, la nostra umanità, la direzione data alla nostra vita.

La sintesi, ripeto e ribadisco, non è però una semplice virtù da esercitare. È un dono. È un'intuizione, un'illuminazione che avviene per Grazia.

Il Risorto si fa riconoscere, non è mai riconosciuto dalla bravura dei suoi. Si svela e si propone come «estrema sintesi» di quel che l'uomo e Dio sono l'un per l'altro, nella storia che è fatta del loro intreccio.

Specchiarsi nel Risorto è avviare il «riassunto» di quel che compone la nostra vita.

Le grazie si domandano, soprattutto quelle importanti come questa.

Chiedila, che la Pasqua è davvero tempo di Grazia.