Omelia (22-04-2018)
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COMMENTO ALLE LETTURE
Commento a cura di Padre Alvise Bellinato


La prima lettura odierna ci mostra Pietro, "pieno di Spirito Santo", animato di un coraggio e una "parresia" (franchezza) soprannaturale.
Parla con tale forza e convinzione da essere come un fiume in piena. Ascoltando le sue parole, le persone vengono profondamente toccate e sentono il bisogno di chiedere perdono a Dio.
Questo Pietro, così potente ed efficace, non sembra nemmeno la fotocopia sbiadita dell'altro Pietro, quello che davanti a una vecchia serva aveva rinnegato Gesù. Si tratta di una persona completamente nuova, una "nuova creazione", frutto dello Spirito Santo e della Paqua di Gesù.
La presenza dello Spirito, come protagonista della "seconda vita" di Pietro, è confermata e rafforzata dal potere dei miracoli. Con grande fede Pietro prega e la gente guarisce, impone le mani e le persone vengono liberate dal potere del maligno. La parola franca si coniuga con il carisma taumaturgico. É questo che, negli Atti degli Apostoli, viene chiamato con un'espessione biblica specifica: "Parola e manifestazione dello Spirito". La Parola della predicazione è confermata dai segni che la accompagnano.
Pietro ci mostra oggi, quale deve essere l'atteggiamento profetico del vero Pastore nella Chiesa: la proclamazone della verità, senza ricercare compromessi o consensi. "Gesù Nazareno che voi avete crocifisso" è il kerygma di Pietro, l'annuncio veritiero e onesto di un fatto che non può essere tenuto nascosto o cammuffato sotto le mentite spoglie del "politically correct".
Unitamente alla proclamazione del peccato del popolo, Pietro annuncia l'opera del Padre: "Dio lo ha risuscitato dai morti".
Si realizza qui la dinamica fondamentale del mistero Pasquale: la pietra scartata diventa testata d'angolo, l'ultimo diventa primo, lo sconfitto è vincitore, la morte diventa vita.
Davanti a una assemblea in parte convinta che il monoteismo giudaico è l'unica verità da professare e in parte avvolta da superstizioni pagane, stupisce e quasi scandalizza la radicalità dell'annuncio petrino: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che possano essere salvati".
Pietro fa tabula rasa di tutte le credenze e tradizioni e annuncia con forza soprannaturale l'irrompere di un Nome nuovo nella storia, l'unico nel quale c'è salvezza.
Si potrebbe dire che il discorso di Pietro è radicale e forse duro. Sembra che non conosca le regole del dialogo interreligioso. Ma, d'altra parte, quale dialogo può esserci se, per cercare consensi o falsa armonia si diluisce la verità?
Un commento su Youtube, sotto un video di Giovanni Paolo II che chiede ai giovani il coraggio di scelte radicali, dice: "Io non credo in Dio, ma quest'uomo mi affascina e sento che dice la verità".
Questa è una prima riflessione per noi oggi: in virtù del Battesimo siamo stati costituiti profeti e possiamo annunciare Cristo tout court, senza sconti o saldi di fine stagione. Non è vero che diminuendo i contenuti della fede si viene accolti e apprezzati; vale il contrario. Nella proclamazione originale e radicale si viene rispettati anche da chi non crede.

La seconda lettura è pervasa da un tono di dolcezza e semplicità.
La tradizione orale ci tramanda un aneddoto: l'apostolo Giovanni, Vescovo di Efeso, ormai centenario e cieco, alla domenica veniva portato a spalle dai giovani, su una barella, al luogo della celebrazione eucaristica. Lungo il percorso, alzando le mani al cielo, ripeteva solamente: "Dio è amore! Dio è amore!".
In questa frase è riassunto il kerygma giovanneo e il senso della sua intera esistenza di giovane, vergine, apostolo amato in modo particolare, custode di Maria, testimone della resurrezione.
Il messaggio giovanneo è luminoso: l'amore che il Padre ci ha donato è straordinario. Egli ci ha dato la grazia di essere chiamati figli di Dio, di essere realmente figli di Dio.
Chiaramente "il mondo" non capisce queste cose e non comprende questo mistero, "non lo conosce". Non avendo conosciuto Cristo, non può conoscere nemmeno coloro che sono suoi.
Al riconoscimento della situazione attuale del cristiano, Giovanni aggiunge una visione prospettica sul futuro, sulla condizione redenta, finale dell'umanità trasfigurata dall'amore, quando "saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è".
Queste parole ci ricordano che anche noi dobbiamo essere testimoni di misericordia, grati a Dio per il dono della figliolanza divina, capaci di vivere e affrontare anche le immancabili difficoltà del cammino, per giungere alla condizione finale di figli di Dio, Santi e amati, partecipi della gloria futura a cui siamo stati chiamati fin dal giorno del nostro Battesimo.

Infine, meditando il Vangelo, proviamo a riflettere su un piccolo dettaglio.
Partiamo dal testo greco del capitolo 10 di Giovanni, dove Gesù viene descritto come "Pastore, quello bello". La traduzione italiana, per motivi pastorali, preferisce rendere "bello" con "buono".
Nel mondo greco l'ideale della perfezione umana era sintetizzato nell'espressione "Bello e Buono". Questi erano i due requisiti da raggiungere, per vivere nella pienezza: bellezza e bontà.
Oggi, dire che Gesù è "bello" verrebbe interpretato forse in maniera distorta. L'edonismo imperante ci impone categorie estetiche e modelli comportamentali in aperto conflitto col Vangelo.
Ma Gesù è, e rimane, il "Bel Pastore" proprio perché è profondamente buono. La bellezza di Gesù è la sua bontà.
È la straordinaria bellezza del volto rugoso e familiare di Madre Teresa di Calcutta, la bellezza luminosa dei cristiani perseguitati e uccisi, oggi (nel silenzio generale dei mass media) in moltissime nazioni del mondo, la bellezza di una coppia di sposi che vive secondo il Vangelo, la bellezza di un prete che vive in modo coerente, senza compromessi e scorciatoie, la sua vocazione.
Oggi celebriamo la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni.
Preghiamo in modo speciale che tanti ragazzi e ragazze siano attirati dalla Bellezza di Cristo, l'unica Bellezza in grado di salvare il mondo.