Omelia (19-04-2018)
don Cristiano Mauri
Che spreco!

«Giudei» è l'espressione con cui Giovanni identifica la folla quando manifesta la propria incredulità nei confronti di Gesù.

Così infatti, è accaduto nei versetti precedenti a questi.

C'era «mormorazione» contro Gesù per la sua affermazione di essere disceso dal cielo: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo"?».

Lo scandalo per loro è dunque quello dell'incarnazione.

e l'origine umana di Gesù è nota, come si concilia con quella di natura divina?

Per rispondere ai loro dubbi, Gesù non cerca di dimostrare la verità delle proprie affermazioni, chiede invece di assumere l'atteggiamento corretto per comprenderle.

Mentre ai Giudei fa problema l'identità che Gesù rivendica per sé, la vera questione è la loro identità: devono lasciare quella da increduli per assumere quella di credenti.

Il percorso dall'incredulità alla fede che propone loro ha due condizioni: l'iniziativa da parte di Dio e l'ascolto autentico delle Scritture.

Riconoscere in Gesù l'inviato di Dio non è infatti alla portata dell'uomo («Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre»). Ed è proprio la testimonianza della Scrittura a confermarlo («Tutti saranno istruiti da Dio").

Il tempo del "perfetto insegnamento" da parte di Dio, preannunciato dai profeti, è giunto a compimento e si realizza in Cristo.

In lui siamo istruiti da Dio; a lui andiamo per essere istruiti grazie all'azione del Padre che ci attira verso il Figlio.

L'immagine finale del pane e del mangiare arricchiscono di senso il tema del cammino verso la salvezza e aprono una strada ulteriore al percorso della fede.

C'è un pane capace di introdurre in una vita che non conosce la morte, un pane di vita disceso dal cielo.

Gesù si identifica con tale cibo divino, spingendo oltre il significato nel definirsi come «pane vivo», facendo della propria carne un nutrimento vitale a favore del mondo.

Emerge qui il tema della morte di Gesù e dell'offerta della sua stessa vita come cuore della storia della salvezza e come elemento su cui poggiare la fede.

I riferimenti eucaristici sono evidenti.

La memoria dell'ultima cena, nella quale il valore salvifico della sua morte è reso esplicito, diventa dunque una via concreta per giocare la propria fede e accogliere la salvezza.

Accogliere e riconoscere l'amore del Padre nel dono che Gesù fa di sé e della propria carne è il «cambio di identità» richiesto per entrare nella vita piena.


Che spreco!

Questo invito al "cambio di identità" che Gesù fa alla folla - da increduli a credenti - mi pare molto forte.

Mi viene spontaneo domandarmi quali reali aspettative mai avesse o che ti tipo di risposta si aspettasse.

Perché gli ostacoli, volendo essere onesti, non erano davvero poca cosa.

Prova tu a credere al vicino di casa che si attribuisce il ruolo di inviato da Dio!

Diamo atto alla gente del suo tempo che non era proprio una passeggiata.

Tant'è che lo stesso Gesù riconosce che senza l'intervento di Dio in termini di fede non si cava un ragno dal buco.

Ammessa e non concessa la disponibilità a lasciarlo fare.

Tutto questo mi fa sentire le parole sulla «carne per la vita del mondo» ancor più imponenti di ciò che sono.

Quel corpo offerto in dono è già qualcosa iscritto nel registro della gratuità, ma qui si corre il rischio addirittura dello spreco.

Perché arrivare a tanto senza la certezza di un risultato o almeno un'alta probabilità di riuscita?

Dare a chi non è disposto ad apprezzare.

Offrire a chi non intende accogliere.

Regalare senza imposizione alcuna.

Donare a chi non mostra alcun interesse.

Uno spreco.

Si ribella il buon senso, il criterio del rispetto, il principio di giustizia di fronte a un simile modo di amare.

Eppure è affascinante.

La quantità di libertà presente in un amore così è affascinante.

Via le pretese arroganti, le aspettative illusorie, il debito da saldare, il credito da esibire, i ricatti affettivi, i legami morbosi, i sensi di frustrazione, le rivendicazioni di presunte ricompense, le piccole ritorsioni emotive, le gelosie soffocanti, gli impulsi di possesso.

Ah, che respiro un amore così.

Libero e liberante.

Ha tutta l'aria del Risorto che cammina sciolto da ogni vincolo.

Ma non dite che «si deve» amare così.

È il primo modo per impedirlo.