Omelia (29-04-2018)
diac. Vito Calella
A chi appartengo?

A chi appartengo?
Ciascuno di noi diventerebbe un saggio se si domandasse ogni giorno, nell'atto di cominciare la sua lotta quotidiana: «A chi appartengo?» Il nostro cuore ci rimprovera ogni giorno l'appello della sua autonomia, perché oggi è scontata l'autonomia della libertà individuale: «Voglio, dunque sono!» La parola d'ordine è «Sii te stesso!», oppure «Fa quello che senti meglio per te!», o anche «Segui la voce della tua coscienza». Contempliamo il nostro corpo e non ci rendiamo più conto che non siamo solo questo corpo di carne ed ossa, ma siamo al tempo stesso un corpo comunitario, perché siamo inter-connessi, siamo necessariamente in relazione con gli altri, siamo un corpo espanso nella rete dei nostri rapporti significativi, che determinano la nostra stessa esistenza, determinano il nostro stesso, tanto sacralizzato "Io". Siamo appartenenti, siamo esseri in relazione, non siamo solitari. Dunque: «A chi appartengo?»
Se non ci facciamo questa domanda, viviamo nel buio dell'ignoranza, e non ci rendiamo conto che noi già apparteniamo o al mondo, oppure a Cristo risorto, il vivente.
Già apparteniamo al sistema dominante di questo mondo, al comandamento dello scambio di mercato, alla legge dell' «Io ti do, ma tu cosa mi dai in cambio?» Così, volendo appagare i desideri innumerevoli del nostro io, volendo difendere il nostro territorio vitale, i nostri spazi, le nostre cose, volendo sopravvivere con le nostre capacità e potenzialità, ci lasciamo guidare dalle forze del piacere, della paura e del potere, e il sistema dominante ci rende appartenenti, senza saperlo, ai soldi, al lavoro, alla famiglia, alle cose che ci siamo conquistati con fatica, ai titoli che ci decorano: tutti idoli.
Già apparteniamo anche a Cristo! Incredibile ma vero! In forza della sua risurrezione, tutto è già stato "cristificato", tutte le esistenze umane, tutte le creature, il mondo, tutto procede verso la ricapitolazione in Lui, il Vivente, il Signore della storia, il Signore del mondo.
Il salmo, che abbiamo pregato, ce lo ricorda in forma di annuncio profetico, quasi come se fosse una utopia, pensando a quanta indifferenza religiosa serpeggia nella nostra società: «Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno a Lui tutte le famiglie dei popoli» Incredibile, ma vero: Dio dimora in noi, senza che noi gli abbiamo dato il permesso. La salvezza è già stata realizzata e offerta con la morte, sepoltura e risurrezione di Gesù: «Lo Spirito Santo ci è stato dato», un'altra linfa vitale è già a disposizione alla porta del nostro cuore, che ci rimprovera la sacrosanta autonomia della nostra libertà. Dunque: «A chi appartengo?»

Vogliamo appartenere a Cristo, nostra vite.
La risposta alla domanda «a chi appartengo» dovrebbe essere scontata per noi cristiani, ma non lo è, perché, giustamente, la Trinità Santa rispetta profondamente l'autonomia della nostra libertà. La scelta è personale, la scelta è una scoperta, la scoperta del dono dello Spirito Santo, che ci fa già "dimora di Dio " con il nostro corpo. Ma tutto dipende dalla nostra libera scelta. Possiamo anche chiudere il nostro cuore alla presenza vitale, liberante, trasformante dello Spirito Santo. Allora si, possiamo diventare, per scelta nostra, come tralci già innestati alla vite, che è il Risorto, ma siamo, per scelta nostra, tralci secchi. Non facciamo circolare la linfa vitale dello Spirito, che già abita in noi. Quale sarà il nostro destino? L'essere tagliati e gettati nel fuoco, come tralci secchi, non ci suoni come una minaccia di castigo, ma ci faccia contemplare il rispetto profondo che il Padre, l'agricoltore della vigna del Regno di Dio, ha per la nostra libertà individuale. Dipende da noi affidare la nostra libertà all'iniziativa libera dello Spirito Santo, che ci fa produrre grappoli di gratuità per il mondo, frutti belli di relazioni noi più determinate dalla logica dello scambio di mercato, ma della logica dell'amore fraterno: «Ho ricevuto gratuitamente la salvezza, il perdono dei peccati? Non restituisco a Dio il dono ricevuto, ma lo restituisco agli altri, facendomi dono per gli altri». Dunque: «A chi appartengo?» Come dice il salmo: «Io vivrò per Lui», io vivrò per Cristo, con Cristo, in Cristo, per fare della mia vita un semplice e umile tralcio che, nello Spirito Santo, dà gloria al Padre, con frutti di gratuità.

Ma cosa vuol dire appartenere a Cristo?
Appartenere a Cristo vuol dire espandere il mio corpo al "corpo delle Sacre Scritture", stare in relazione con il mondo della Parola di Dio, il mondo dei suoi comandamenti. Dove incontriamo oggi la vite Cristo? La incontriamo nella sua Presenza viva che ci parla, che ci purifica, ci fa vivere in nome delle sue parole, nella volontà del Padre. Rimanere in Cristo vivo è custodire le parole di Gesù, custodire la sua voce, che ci parla. «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete, e vi sarà dato». «Qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a Lui». Ascoltiamo dunque la sua voce, nel silenzio del nostro cuore. Facciamo in modo che il nostro cuore non ci rimproveri più nulla di pretese di autonomia, ma nel silenzio e nell'ascolto orante della voce del Risorto poniamo la nostra fiducia in Dio.
Appartenere a Cristo vuol dire espandere il mio corpo al "corpo della Chiesa", stare in relazione con il Corpo di Cristo che è la mia comunità. E quando facciamo la santa comunione con il Corpo di Cristo nel Sacramento dell'eucarestia rendiamoci conto che stiamo scegliendo di essere davvero innestati al Corpo ecclesiale. Gesù vite è la mia comunità cristiana, di cui sono membro vivo. I frutti di gratuità che vogliamo offrire al mondo, non sono grappoli d'amore frutto della iniziativa personale di ciascun credente, ma sono i frutti dell'unità nella carità, frutti delle nostre relazioni di fraternità, del nostro farci santi insieme, e non individualmente.
Dunque: «A chi appartengo?» Voglio «credere nel nome del Figlio suo Gesù Cristo» per «amare, non a parole e nemmeno con la lingua», ma col mio vivere come "noi ecclesiale" l'unità nella carità, «l'amarsi gli uni gli altri», consapevole che «senza di Lui non possiamo far nulla»