Omelia (29-04-2018)
don Luciano Cantini
L'unico Frutto possibile

Io sono la vite vera

Giovanni riprende l'immagine della vite ben conosciuta nel mondo ebraico; diversi passi dell'Antico Testamento presentano infatti Israele come la vigna di Dio (Cfr. Is 5,1-5; Sal 80, Ez 19,10). Dice il Profeta Isaia: Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle (5,1). Dio per piantarla ha espulso i popoli che stavano nella terra di Canaan. Hai sradicato una vite dall'Egitto, hai scacciato le genti e l'hai trapiantata (Sal 80,9).

L'immagine della vigna è cara a Israele perché offre l'idea della robustezza del tronco, tozzo e contorto, le radici sono profonde capaci di andare a cercare l'acqua, i tralci crescono e si allungano tanto da coprire la terra; il frutto della vite allieta il cuore dell'uomo (Sal 104,15). Rigogliosa vite era Israele, che dava frutto abbondante (Os 10,1) Eppure quell'arbusto non vale nulla, il suo legno è inutilizzabile (cfr. Ez 15,2-5), basta un po' di incuria che presto la vigna inselvatichisce: la devasta il cinghiale del bosco e vi pascolano le bestie della campagna (Sal 80,14).

Se la vigna è per eccellenza simbolo d'Israele - la vigna che il Signore coltiva perché porti frutti di giustizia (Is 5,7) - Giovanni porta una innovazione sostanziale, talmente differente da chiederci una riflessione profonda: non più una vigna dalle molteplici piante ma una sola vite e quella vite è Gesù stesso. Lui il nuovo Israele, lui il popolo di Dio capace di produrre quei frutti di cui l'Agricoltore andava in cerca.

L'immagine parabolica della vite non solo parla del Signore ma ci costringe a riflettere su noi stessi e sulla relazione con lui.

Non possiamo fare a meno di accostare l'immagine giovannea dell'unica vite al pensiero paolino che nella lettera agli Efesini espone il progetto antico di Dio: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra (Ef 3,10). A maggior ragione è da rileggere quanto l'Apostolo esprime a più riprese sul senso stesso della Chiesa: così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri (Rm 12,5), Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito (Col 1,18), Egli è il nuovo Adamo (1 Cor 15,45) da cui tutta l'umanità ha avuto origine con una vocazione all'unità (Cfr. Gen 2,24). Non a caso il principio del male, "satana" (l'avversario), prende il nome di "diavolo" (colui che divide): ogni divisione, ogni separazione è originata dal male e a sua volta origina nuovi mali. La salvezza di ognuno è strettamente legata agli altri perché, volente o nolente, apparteniamo alla stessa unica realtà. Gli egoismi, i tornaconti, le distinzioni, l'incoerenza, la nostra condotta verso gli altri, buona o cattiva, si rivolge contro di noi.


Rimanete in me e io in voi.

Per ben sette volte è utilizzato il verbo "rimanere" in modo paradossale data l'azione di taglio del Padre, ma è richiamo forte alla nostra libertà di portare frutto che è la discriminante nella potatura. Ciò che permette di portare frutto è il rimanere nella sua Parola: non una lettura edificante ma la malta che tiene insieme la vita e le scelte di ogni giorno. Non si tratta di mantenere una buona relazione con Gesù quanto entrare in lui e permettere che lui entri nella nostra vita per realizzare una vera e propria comunione. È proprio la comunione di prospettive, di intenti, di amore che permette di chiedere quello che volete e vi sarà fatto.

Tutto è Amore, tutto è comunione, tutto è vita: tutto è dono, donato, accolto, condiviso, e il cuore di tutto questo è Lui, Gesù con il suo abbandono totale nel Padre che fa di Lui la fonte dalla quale sgorga la vita per il mondo intero
(GF Poma).


Che portiate molto frutto

Nel mondo moderno potremmo essere confusi dall'idea di "produttività" con cui siamo soliti misurare l'attività umana, e non ci inganni l'aggettivo molto o più che sembrano puntare sulla quantità. Il vangelo di Giovanni non usa un termine al plurale così da dare una idea pluralistica sia sul piano della quantità che della qualità: la giustizia, la pace, la fraternità, l'amore... sembrano essere i frutti della vita cristiana, è una lettura moralistica che non corrisponde all'esempio parabolico di Giovanni. Il Frutto è indicato sempre al singolare perché è prodotto sinergico dell'opera di Dio che toglie e purifica e la permanenza dell'uomo nella Parola che gli è stata annunziata.

L'unico Frutto possibile è lo stesso Signore Gesù portato nel cuore della storia degli uomini.