Omelia (29-04-2018)
dom Luigi Gioia
Né autopunizione né autogiustificazione

Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità (1Gv 3,18). Non ci si può confrontare con questo invito senza provare resistenza interiore e trepidazione. Malgrado il nostro desiderio di corrispondervi restiamo incapaci di gestire relazioni nelle quali amare e perdonare è diventato penoso. Restiamo prigionieri di una indolenza invincibile quando l'amore si scontra con i nostri pregiudizi sociali o culturali. Temiamo che amare ci conduca a perdere il controllo della nostra vita. Di fronte all'invito di Giovanni dunque saremo sempre in difetto. Per fede sappiamo di aver ricevuto in dono la libertà di amare, ma malgrado tutti in nostri sforzi non potremo evitare di ripetere l'esperienza dei grandi santi che alla fine della loro vita hanno confessato di essere sommersi dalla consapevolezza di quanto poco avessero amato. Avevano certo amato, ma erano coscienti delle loro omissioni e dei loro compromessi - sapevano che avrebbero potuto amare di più.
Per questo, secondo Giovanni, la più grande tentazione di fronte a questa presa di coscienza è quella di mentire al nostro cuore. Ecco perché, proprio dopo aver formulato questo invito che esprime l'essenza della vita cristiana, ci mette in guardia contro due insidiose deviazioni spirituali e ci rivela le terapie per affrontarle. Le due deviazioni sono così espresse: la prima è che il nostro cuore ci rimprovera (1Gv 3,20) e la seconda che il nostro cuore non ci rimprovera nulla (1Gv 3,21). Si tratta da una parte dell'autopunizione e dall'altra dell'autogiustificazione.
Il primo atteggiamento - Il nostro cuore ci rimprovera (1Gv 3,20), cioè l'autopunizione - è sbagliato perché ogni forma di colpevolizzazione è una menzogna, è l'esatto contrario del pentimento autentico. Ogni volta che siamo tentati di scambiare la colpevolezza per pentimento ci basta confrontarci con i criteri di discernimento offerti dalla Parola di Dio per smascherarla. La Parola ci rivela che il pentimento è autentico solo se è accompagnato dai frutti dello Spirito Santo enumerati da Paolo in Galati, soprattutto amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza! (Gal 5,22). Essi valgono prima di tutto nei nostri confronti, illustrano cosa voglia dire amare sé stessi in Dio: non condannarsi, non giudicarsi, non abbattersi, non scoraggiarsi, ma volersi bene - la benevolenza -, essere pazienti con sé stessi - la pazienza -, restare nella gioia, nella pace che infonde nel nostro cuore la consapevolezza di essere amati e perdonati dal Padre.
Se il nostro cuore ci accusa (1Gv 3,20) non è perché siamo pentiti, ma perché coltiviamo disistima di noi stessi e scrupoli che ci rendono amari, ansiosi, ci chiudono in noi stessi e paradossalmente ostacolano l'accoglienza del perdono autentico. Queste forme di auto-rimprovero sono l'esatto contrario dei doni dello spirito: invece della gioia generano in noi tristezza, invece della pace il turbamento, invece della pazienza l'esasperazione, invece della benevolenza l'autopunizione.
Scrupolo e colpevolezza sono pericolosi perché crediamo che ci stimoleranno a correggerci, mentre in realtà ci opprimono e lentamente ci uccidono. Una delle immagini più eloquenti per esprimere la differenza tra la colpevolezza e pentimento è la seguente: la colpevolezza è ciò che avviene quando mi guardo allo specchio e non mi piaccio, e quindi è una forma di egoismo, di narcisismo. Il pentimento, invece, è ciò che appare quando distolgo lo sguardo da me stesso e incrocio quello del Padre, come ce lo mostra Giovanni quando appunto ci rivela la sola terapia efficace contro la colpevolezza: Anche se il nostro cuore ci dovesse rimproverare, ricordiamoci che Dio è più grande del nostro cuore (1Gv 3,20). La terapia per vincere il male che c'è in noi, l'egoismo e la pigrizia che ci impediscono di amare, non è l'auto-punizione, ma lasciarci perdonare dal Padre - non una, non dieci, non cento, ma settanta volte sette (Mt 18,22), vale a dire sempre! Ciò che ci guarisce è soprattutto lasciarci conoscere dal Padre, cioè conoscere noi stessi in lui! E' quanto esprime Pietro alla fine del vangelo di Giovanni: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo (Gv 21,17). Pietro vuole dire: "Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti ho tradito, ti ho rinnegato tre volte. Tu sai quanto sono incostante. Tu sai quanto vorrei amarti e non ci riesco. Non posso nasconderti niente. Tu sai tutto, però, e sai che malgrado questa mia debolezza io ti amo". Tu sai: questo sapere del Signore è paterno e materno, non ci condanna, non ci opprime - conosce, certo, la nostra debolezza, ma non la giudica.
La seconda deviazione spirituale poi denunciata da Giovanni consiste paradossalmente nell'atteggiamento opposto: Il nostro cuore non ci rimprovera nulla (1Gv 3,21), cioè l'autogiustificazione. Vi è infatti una grande differenza tra la colpevolezza di cui abbiamo parlato finora e l'autentica consapevolezza del proprio peccato. Se ci accontentiamo di non fare del male a nessuno, vuol dire che ci stiamo misurando non con l'esigenza del vangelo, ma con una nozione di equità che abbiamo fabbricato noi stessi per giustificare i nostri rifiuti di amare, i nostri egoismi, le nostre paure, le nostre pigrizie. Anche questa seconda deviazione spirituale Giovanni la smaschera solo per offrirci la terapia che ci permette di guarirla, vale a dire la fiducia in Dio: Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio! (1Gv 3,21)
Possiamo non temere di riconoscerci deboli, incapaci, egoisti o pigri, possiamo non avere paure di diventarne consapevoli con lucidità, serenità e coraggio solo se non ci guardiamo allo specchio, ma guardiamo Dio, solo se mettiamo la nostra fiducia non in noi stessi, ma in Dio, vale a dire nel suo amore e nel suo perdono. "Sono buono, non perché posso convincermi di essere buono, ma perché so che il Signore mi rende buono, costantemente, con il suo perdono". "Sono giusto non perché non commetto mai nessun peccato, o perché posso convincermi di non commettere mai nessun peccato, ma perché il Signore costantemente mi perdona, mi giustifica, mi rende giusto".
Così l'invito di Giovanni ci conduce all'appello che Gesù ci rivolge nel vangelo di oggi: Rimanete in me e io in voi (Gv 15,4). Come rimanere in Gesù? Come sentire che Dio rimane in noi? Semplicemente, come lo propone Giovanni, sapendo che Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa, cioè non guardandoci allo specchio, ma guardando al Padre, non fidandoci della nostra colpevolezza, ma lasciandoci conoscere da Dio. Poi rimaniamo in Gesù avendo fiducia in lui, cioè non mettendo la nostra fiducia in noi stessi. Per vincere le due tentazioni dell'autopunizione e dell'autogiustificazione, siamo invitati a scoprire la presenza di Gesù in noi attraverso i doni del suo spirito, i segni inconfondibili della sua azione: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22).


Il testo dell'omelia si trova in Luigi Gioia, "Educati alla fiducia. Omelie sui vangeli domenicali. Anno B" ed. Dehoniane. Clicca Clicca qui